In America i “Tea-Party” fanno concorrenza alla Destra evangelica

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In America i “Tea-Party” fanno concorrenza alla Destra evangelica

18 Marzo 2010

Ci sta anche il tè riuscito male. Capita. Ora sta capitando al movimento dei “Tea Party”, finito nel mirino di alcuni evangelicali conservatori che lo accusano di eccesso di libertarismo. Da quando il braccio telematico dell’assai influente network giornalistico The Politico, che ha base ad Arlington in Virginia, ha dato fuoco alle polveri il 12 marzo nel movimento è scoppiata la bagarre.

A preoccupare advocacy group come l’American Family Association di Tupelo, Mississippi, e il Family Research Council di Washington sarebbe il fatto che i “Tea Party” lancino strali contro la politica di grande spesa del governo federale, la riforma sanitaria di tipo assistenzialistico voluta dalla Casa Bianca e l’esagerata pressione fiscale, ma poco ‒ parrebbe ‒ contro l’aborto o i “matrimoni” omosessuali. Epperò sembra fantascienza.

Basta infatti fare un giro per le varie manifestazioni pro-life americane (prima fra tutte la March for Life svoltasi il 22 gennaio nella capitale federale, gremita dalla cifra record di mezzo milione di persone), navigare il social network del movimento, o parlare di filosofia spicciola con gli americani di oggi per rendersi conto di come, come sempre, l’anti-Stato abbia rigide e persino letteralistiche fondamenta bibliche, i toni siano più quelli dei predicatori che dei commercialisti, l’enfasi retorica tenga business, proprietà, libertà di educazione, famiglia e vita schierati sulla medesima linea di fuoco. Basta davvero fare quattro passi nel movimento.

E allora le denunce degli evangelicali? Sono il segno che la cosiddetta “Religious” o “Christian Right”, che sin dai tempi d’oro della Christian Coalition ha pesato molto anche in politica, viene oggi affiancata da altri ambienti (del resto in buona parte in diretta continuità e talora persino in contiguità esplicita), con rischio reale di sorpasso.

Ora, l’effetto migliore che questo “dissidio” potrà generare è un sano spirito di competizione che non potrà che beneficiare l’intera Destra statunitense, allorgandone pure l’orizzonte. Resta però il fatto, dice qualcuno, che nella lista dei “Tea Party” le questioni “eticamente sensibili” non sono nella top ten. Ammesso e non concesso che sia vero, è solo l’effetto di una illusione ottica. La battaglia sui “princìpi non negoziabili”, infatti, il movimento la dà per scontata, e non pensa di dover parlare ogni dì dei fini da raggiungere quanto invece dei mezzi per arrivarci. Oggi negli USA si ritiene infatti che per conquistare la libertà a favore d’intraprese, famiglie e vita si debba fermare subito la rapina dello Stato ai danni dei contribuenti.

Eppoi, giornalisticamente parlando, attenzione! Come Jim Hoft ha notato lo stesso 12 marzo sul sito dell’importantissimo mensile cattolico conservatore First Things quel Richard Cizik usato come testimonial da The Politico è un noto supporter di Barack Hussein Obama, non certo la voce più autorevole, insomma, degli evangelicali americani di destra. Del resto, esattamente il giorno prima dell’articolo pubblicato da The Politico, il Los Angeles Times, non certo un giornale conservatore, documentava proprio il contrario, il peso cioè esercitato dagli ambienti socio-religiosi sulla protesta antifiscale dei “Tea Party. Forse che i “Tea Party” comincino a dare davvero fastidio?

Marco Respinti è Direttore del Centro Studi Russell Kirk