In America si combatte una battaglia per l’identità del Partito Repubblicano

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In America si combatte una battaglia per l’identità del Partito Repubblicano

20 Novembre 2009

A poco più di un dodici mesi di distanza dalla bruciante batosta subita alle elezioni presidenziali del 2008, il Partito Repubblicano americano, ancora in fase di elaborazione della sconfitta e alla ricerca di un leader, si appresta a serrare i ranghi in previsione dell’appuntamento delle “mid term” dell’anno prossimo. Come base di partenza, gli ottimi risultati conseguiti nelle scorse settimane negli stati di Virginia e New Jersey, conquistati da Bob McDonnell e Chris Christie alle elezioni per la carica da governatore, due successi presentati dai Repubblicani come una sorta di referendum sul presidente Barack Obama a un anno esatto dalla sua elezione.

Il crescente malcontento nei confronti dell’operato del comandante in capo, confermato dal costante calo nei sondaggi di popolarità, rappresentano un segnale incoraggiante per le speranze di un partito che, fino a pochi mesi or sono, sembrava sull’orlo di una crisi del tutto priva di vie di uscita: la possibilità di una ripresa del GOP – o meglio di una “rinascita repubblicana”, come definita da Michael Steele, presidente del Republican National Committee – è tutto fuorché remota. Anzi, secondo alcune previsioni, è alquanto probabile che i Repubblicani riescano a ottenere non pochi seggi alle prossime elezioni di medio termine. Sempre che, come già accaduto in più di un’occasione, non sia lo stesso fronte conservatore a complicarsi il compito.

Nonostante gli importanti successi in Virginia e New Jersey, infatti, il Grand Old Party si trova a dover affrontare alcuni non trascurabili problemi interni. Direttamente collegata alla mancanza di una guida carismatica – figura venuta a mancare dopo l’uscita di scena di George W. Bush e all’impossibilità di recitare tale ruolo da parte di John McCain, anziano, sconfitto e inviso a buona parte della base del partito – è infatti la questione, per lungo tempo ignorata e tuttora irrisolta, riguardante il latente conflitto tra le due anime del partito, quella moderata e quella conservatrice.

La prima, più disponibile al dialogo con la maggioranza e con la Casa Bianca, rappresentata da esponenti quali John McCain, noto per il suo trasversalismo, o la senatrice Olympia J. Snowe, unica a votare al fianco della maggioranza per la riforma sanitaria proposta dal democratico Max Baucus. La seconda, più rumorosa e intransigente, legata alla base, recentemente ravvivata dall’impegno di figure quali Glenn Beck e Rush Limbaugh, controversi presentatori televisivi e radiofonici. Il fronte conservatore, che ha fatto sentire la propria voce scendendo in piazza per i “tea party”, le manifestazioni contro l’eccessiva pressione fiscale, e che ha già ripetutamente accusato il presidente Obama di essere promotore di politiche “socialiste”, inizia a rappresentare una spina nel fianco del Partito Repubblicano, più che della Casa Bianca. E alcuni effetti della cosiddetta “schizofrenia repubblicana”, come definita da alcuni osservatori statunitensi, si sono già fatti sentire.

Emblematico è il caso del celeberrimo 23esimo Distretto di New York, corsa per un posto al Congresso che ha ricevuto il medesimo trattamento mediatico – se non addirittura più attenzione – delle competizioni elettorali in Virginia e New Jersey a causa della vicenda che ha coinvolto Dede Scozzafava. Candidata repubblicana centrista, scelta dai vertici cittadini del partito, la Scozzafava si è vista costretta a ritirarsi dalla corsa a causa delle incessanti proteste dei conservatori, che le preferivano il candidato Doug Hoffman, schierato più a destra. Come risultato, Hoffman, appoggiato anche dall’ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin, è stato sconfitto dall’avversario democratico Bill Owens (il quale, prima del voto, ha ricevuto anche il sostegno della Scozzafava), prima vittoria per il partito dell’asinello in quel distretto degli ultimi 150 anni. Una “battaglia per l’identità del Partito Repubblicano” che, più che rappresentare una vittoria del conservatorismo populista, si è rivelata una lacerante diatriba interna che ha contribuito a far vincere i Democratici.

Il conflitto intestino tra le due differenti e apparentemente inconciliabili anime dei Repubblicani sembra tutto fuorché concluso, a dispetto del deludente risultato del 23esimo Distretto di New York. In vista del 2010, i conservatori promettono battaglia, pronti a rendere la vita difficile a tutti i candidati Repubblicani da loro considerati troppo moderati, o non all’altezza del compito. Una possibile – anzi, quasi certa – vittima del movimento conservatore è già stata identificata. Si tratta di Charlie Crist, successore di Jeb Bush alla carica di governatore della Florida. Fino allo scorso anno individuato come stella emergente del GOP in previsione delle presidenziali del 2012, Crist è entrato nel mirino dell’ala destra del partito nel momento in cui si è schierato a favore dell’intervento di stimolo economico voluto da Barack Obama e approvato dal Congresso, un peccato capitale che lo ha fatto entrare di diritto nella famigerata categoria dei “RINO”, ovvero “Republicans In Name Only” (“Repubblicani solo di nome”).

Deciso a candidarsi per un posto al Senato, Crist, appoggiato dal comitato senatoriale del partito, dovrà ora vedersela con il candidato preferito dai conservatori, l’ex Speaker della Camera statale Marco Rubio, alquanto fotogenico e da alcuni paragonato, per il suo stile, a Ronald Reagan. Apparentemente, nulla differenzia Crist da Rubio: sono entrambi conservatori, entrambi pro-life, entrambi contro l’eccessiva pressione fiscale. Unico particolare che li rende diversi, l’opinione sullo “stimolo” economico. L’unica arma di Rubio – e forse anche il suo più grande limite – è infatti l’opposizione senza se e senza ma a Obama.

Già poco amato dalla base, Crist è diventato ufficialmente persona non grata nel momento in cui ha abbracciato (letteralmente, più che politicamente) il presidente Obama. L’immagine ha fatto in breve tempo il giro della rete, ed è stata sfruttata dai conservatori per dimostrare che il governatore non dispone dei necessari requisiti per ottenere la candidatura del Grand Old Party. “Nessun repubblicano dovrebbe votare per Crist”, grida il sempre più rumoroso fronte conservatore. E la campagna contro il candidato moderato, in atto già da qualche settimana, sembra funzionare. “Quali effetti avrà per Crist il suo abbraccio a Obama?”, si è chiesto Roger Handber, professore di scienze politiche alla University of Central Florida, “probabilmente gli farà perdere le elezioni”.

Il rampante Rubio, senza ombra di dubbio, utilizzerà l’immagine dell’abbraccio come un martello, in campagna elettorale, per colpire ripetutamente il rivale. A detta di molti commentatori, tale competizione sarà ancora più determinante, per l’identità del Partito Repubblicano, di quella del 23esimo Distretto di New York. “In Florida, nel 2010, vi sarà uno spettacolare bagno di sangue”, ha scritto provocatoriamente l’opinionista neoconservatore David Frum. Un fratricidio repubblicano che, oltre a definire l’avvenire del partito, corre il rischio di mettere in serio pericolo le ambizioni del GOP per le presidenziali del 2012.