In America si è risvegliata la “Right Nation”

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In America si è risvegliata la “Right Nation”

24 Giugno 2010

Nikki Haley è la candidata ufficiale del Grand Old Party (GOP), l’altro nome del Partito Repubblicano, per il seggio di governatore del South Carolina che verrà messo in palio il 2 novembre in concomitanza delle elezioni di medio termine. Nikki Haley ha surclassato gli avversari, dentro e fuori il partito: ha battuto il rivale Repubblicano Gresham Barrett con il 63% dei voti e ora i sondaggi la danno al 55% dei favori popolari sullo sfidante Democratico di novembre, Vincent Sheheen, solo al 34%. Nikki Haley ha tranquillamente passeggiato sopra le maldicenze, le calunnie e i colpi bassi che hanno inutilmente tentato di tutto per chiuderla in un angolo. Nikki Haley fa paura alla politica statunitense perché Nikki Haley è espressione vincente del ritorno della “Right Nation”, oggi agghindata per le feste dei “Tea Party”.

E Nikki Haley, trionfando nel ballottaggio di martedì, grida al Paese ma soprattutto a certi quartieri di Washington una verità che oggi negli Stati Uniti si fa più cogente ogni ora che passa: essere Repubblicani non basta. Dentro quel partito, che da tempo, pur se talora obtorto collo, funge da casa dove più comunemente si ritrova sul piano elettorale la Destra popolare e culturale, occorre essere conservatori. Princìpi non negoziabili, difesa della persona contro il relativismo, governo temperato secondo il dettato costituzionale della nazione, riduzione della pressione fiscale, libertà reale d’intrapresa, lotta al terrorismo internazionale, difesa coscienziosa della cultura occidentale. Questo serve, dicono i conservatori che anche in politica non si accontentato più solo di essere Repubblicani, a loro, all’America, al mondo. E questo è ciò che fa tremare l’establishment del GOP attendista, “moderato” e di frequente persino liberal, anzitutto perché adesso questo linguaggio sta diventando, grazie ai candidati spesso vincenti sostenuti dai “Tea Party”, una realtà imperiosa, destinata a proiettare la propria immagine e a far sentire il proprio peso ben oltre le elezioni di autunno.

Capitava anche prima, certo, ma capitava solo di rado che i nomi importanti del GOP rimarcassero così tanto la differenza, e apertamente in pubblico, fra l’essere Repubblicani e l’essere Repubblicani conservatori. Per molto tempo, l’establishment ci ha marciato facendo finta di non cogliere l’ambiguità, dunque alimentandola strumentalmente presso gli elettori e così vivendo di rendita. Ma oggi la musica è cambiata, ed è cambiata soprattutto perché gli elettori non cascano più nella trappola. Se votano Repubblicano, lo fanno (come sempre) sotto condizione, ma a questo punto il prezzo dello scambio è salito, molto. La cosa non impedisce ovviamente all’establishment del GOP di continuare a strumentalizzare la questione, ma nel frattempo ci hanno guadagnato il diritto cittadinanza politica certi esponenti cristallini della Destra conservatrice che si mostrano senza vergogna autonomi e liberi rispetto ai diktat di partito, e che soprattutto sono sempre più forti di una constituency granitica. Per certo, dopo novembre il GOP non sarà più quello di prima.

Quando Nikki Haley saluta gli elettori e i finanziatori con uno spot televisivo in cui si descrive Repubblicana, sì, ma anzitutto conservatrice “Dio, patria famiglia”, il messaggio raggiunge certamente i sostenitori entusiastici che altro non domandano, ma nel quartier generale del GOP fa suonare all’istante tutti i campanelli d’allarme. Quando, sempre in South Carolina, Timothy E. Scott sbaraglia gli avversari con quasi il 70% dei suffragi e si conquista la candidatura d’autunno per il primo distretto congressuale federale in rappresentanza di quello Stato, e lo fa mostrando senza vergogna la sua faccia nera come quella del presidente Barack Hussein Obama ma a differenza di lui posizionata orgogliosamente a destra dello spettro politico, quando egli ostenta spavaldo al Paese il supporto ricevuto da Sarah Palin, non certo quello di qualche inutile burocrate di Washington, e quando si fa pubblicità per tivù attraverso una scritta fissa che dice senza mediazioni “Tim Scott. Un Repubblicano conservatore per il Congresso” significa davvero che la sostanza ha preso il posto della retorica vuota e che la lunga marcia intrapresa nel deserto 45 anni fa dal senatore dell’Arizona Barry M. Goldwater (1909-1998) è finalmente arrivata alla meta.

Marco Respinti è Presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russel Kirk