In America vincono Mike Pence e la libertà religiosa
05 Ottobre 2016
La sfida tra i due canditati alla vicepresidenza è terminata non troppe ore fa, e anche i media più ostili hanno dovuto ammettere che il governatore dell’Indiana, Mike Pence, ha avuto la meglio. Così, se Pence si è mostrato come un’ottima scelta per Trump, il candidato vice della Clinton ha manifestato soltanto l’assenza di dialettica, mentre si dimenava in bislacchi e ripetuti tentativi di interrompere il governatore dell’Indiana nell’incapacità di tenergli testa con valide argomentazioni.
La stampa statunitense ha trovato davvero inconsistente l’uomo scelto dalla Clinton, domandandosi, soprattutto, anche alla luce della precaria salute di Hillary, fino a che punto Kaine potrà esser all’altezza della stanza ovale. I giornaloni progressisti, non sapendo come pungolare Pence, per quanto riferito nel dibattito di ieri, non hanno potuto non lanciarsi a corpo morto sulle posizioni che gli alfieri del politicamente corretto ritengono omofobe. Nelle ultime ore la gogna dei social network, in particolare, ha preso di mira Pence per la legge che ha firmato la primavera dell’anno scorso, il Freedom Religious Restoration Act (Indiana). La legge continua ad essere considerata dalla comunità LGBT “assolutamente e drammaticamente” discriminatoria. Ma è praticamente da allora che l’esercito mediatico si è scagliato contro i parlamentari e il governatore dello Stato.
L’Indiana Religious Freedom Restoration Act è una versione della norma federale sulla libertà religiosa (Rfra) che venne approvata nel 1993. Ma poiché nel corso degli anni le sentenze giudiziarie avevano svuotato di contenuto quella legge, l’Indiana nell’aprile del 2015 ha deciso di approvarne una valida nel proprio territorio. Cosa ha indotto persino uno come Tim Cook a scomodarsi per scrivere sul Washington Post che “si oppone a questa ondata di leggi che razionalizzano l’ingiustizia con il pretesto di difendere una cosa che noi tutti abbiamo a cuore”? Semplicemente il fatto che la legge prevede la possibilità, per un esercizio commerciale, di rifiutarsi, per esempio, di preparare una torta per un’unione tra persone dello stesso sesso, se ritiene cosa inaccettabile per il proprio credo.
Una banalità che oggi rappresenta un grosso problema, al punto che quella della battaglia per la libertà religiosa è diventato un argomento quasi determinante nella corsa alla Casa Bianca. E lo scopriremo proprio nelle prossime settimane. Infatti, gli Stati Uniti, ma l’Occidente tutto, si trovano ora di fronte al paradosso che il Wall Street Journal ha sintetizzato così, “mentre l’America sta diventando sempre più tollerante verso i gay, molti attivisti e liberali sono diventati più intolleranti che mai verso chiunque abbia visioni culturali e religiose più tradizionali”. Pare siano tutti pronti a sacrificare la libertà di religione, e quindi la libertà di pensiero e di espressione in generale, sull’altare del politicamente corretto. Non proprio tutti, anzi: non lo sarebbe Trump se vincesse le elezioni. E questo è uno dei motivi del consenso di cui “il Don” gode, grazie al quale è arrivato al confronto finale con la Clinton, nonostante l’enorme spiegamento di forze, fino al suo stesso partito, che ha dovuto -e deve ancora- fronteggiare.