In Arabia Saudita hanno paura di giornaliste, annunciatrici e ballerine

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

In Arabia Saudita hanno paura di giornaliste, annunciatrici e ballerine

30 Maggio 2009

Il grande problema del conflitto che l’islam estremista ha lanciato contro l’Occidente non è, paradossalmente, il rapporto coi paesi musulmani “nemici dichiarati”, bensì con quelli che aleggiano nell’ambiguità fra alleanze formali, doppiogiochismi, e culture retrograde prive di diritti umani e civili. Ne è l’esempio illuminante l’Arabia Saudita. Storico alleato degli Usa, dopo aver “partorito” quella serpe di Bin Laden ed essersi mostrata a tratti lassista col terrorismo e a tratti isterica nel perseguirlo, ora deve fare i conti con una cultura da un lato raffinatamente attenta ai canoni occidentali (non vi è nobile e ricco rampollo saudita che non abbia studiato in Europa e in America), ma dall’altro ancora totalmente impregnata di maschilismo medievale in salsa coranica.

Su questo fronte, però, si stanno anche qui aprendo delle crepe destinate non certo a emarginarsi, bensì a espandersi sempre più nella società saudita, e di questo dovrebbe approfittare con intelligenza e furbizia l’Occidente. Queste crepe si chiamano donne. Come tanto spesso sottolineato, sono loro il ventre molle dell’islam, le uniche che possono modificarne gli aspetti radicali e guerrafondai, poiché sono le donne musulmane le prime vittime dell’islam integralista. Se l’Occidente non farà di tutto per proteggere e sostenere (addirittura fomentare) questi focolai di libertà, perderà certamente non solo l’unico grande alleato nella guerra contro l’islamismo, ma pure la guerra stessa. Inutile ribadire come la dottrina wahabita in vigore in Arabia Saudita privi le donne di diritti fondamentali discriminandole in modo pressoché talebanico.

È di questi giorni la notizia di un grande dibattito apertosi nel regno sulla presenza delle donne nei media. Trentacinque chierici hanno formalmente fatto richiesta ad ’Abd Al-’Aziz Khoja, ministro della cultura e dell’informazione, di «migliorare gli standard morali dei media sauditi». Essi si lamentano della eccessiva visibilità delle donne nei media, che sarebbe contraria alla sharia e alle leggi dello stato, e della contaminazione che i media starebbero provocando alla società saudita con idee laiche e «pervertite». Ecco parte del testo: «Il ministero della cultura sta promovendo una campagna per occidentalizzare la donna saudita, incoraggiandola a togliersi il velo, a portare gioielli ed a socializzare
con gli uomini ed, in generale, ad aprire le porte ad idee liberali. [Il ministero consente che siano mandate in onda] musica e canzoni e che siano mostrate immagini di donne. Sta anche facendo la formazione di donne e cantanti femminili, e adoperandosi affinché uomini e donne socializzino all’interno dello stesso edificio del ministero. In più, permette la circolazione di giornali e riviste licenziose, che contengono idee perverse e presentano immagini di donne sensuali nelle loro pagine e copertine».

Qui di seguito si può infatti leggere come recitano alcuni dei testi legislativi in oggetto:

«Decreto reale No. 2/4185, del Safar 14, 1400 [primo Gennaio 1980], che
stipula che:

a. Nessuna ballerina o cantante donna possa essere mostrata in televisione, a prescindere dal tipo di manifestazione.

b. Nessuna donna presentatrice o ospite televisiva possa apparire in TV, sia nei programmi in arabi che in quelli in lingue straniere.

c. Nessuna donna saudita possa apparire in televisione in alcun caso.

d. Nessuna immagine di donne, di nessun genere, possa apparire sui giornali e le riviste saudite». «Il Memorandum No. 8/759 del Shawwal 5, 1421 [31 Dicembre 2000] del capo del consiglio dei ministri, che dice: “Ogni organismo che impiega donne in professioni che non sono adatte alla loro natura e che comportano il socializzare con gli uomini, devono correggere questo errore”».

In risposta a questo oscurantismo si è levata la voce di intellettuali arabi animati da spirito liberale. Il giornalista ’Ali Sa’d Al-Moussa e lo scrittore Sami Jassem Al-Khalifa, entrambi sauditi, hanno risposto ai chierici pubblicando, il primo, una lettera aperta satirica al ministro nella quale parodiava l’appello dei chierici e condannava l’estremismo religioso; e il secondo un articolo in cui ha chiesto di aumentare la visibilità delle donne nei media e di promuovere il pluralismo nella società saudita.

Riportiamo il testo dell’articolo di Al-Moussa: «Vogliamo che alle donna venga dato rilievo nei media. Vogliamo vedere donne che presentano i notiziari assieme agli uomini e donne giornaliste che lavorano nelle agenzie di stampa. Vogliamo delle donne a capo dei dipartimenti delle comunicazioni [nelle università], e vogliamo che le donne parlino con gli uomini e viceversa, senza restrizioni, paura o apprensione. Vogliamo che dei presentatori, uomini e donne, si trattino con rispetto reciproco, come richiesto dalla legge islamica, e che non siano separati da barriere di pietra o di legno. Vogliamo donne direttrici di giornali, riviste e canali satellitari invece di avere questi mezzi di comunicazione monopolizzati da uomini… Vogliamo il pluralismo nei media… Vogliamo le donne nei media per ascoltare le loro idee e non per vedere i loro corpi, che è il modo in cui le forze reazionarie le guardano. Vogliamo donne le cui idee e natura civile possano rappresentare l’orgoglio [dell’Arabia Saudita] nel mondo. Sig. Ministro… vogliamo che giornali e canali Tv possano avere un dialogo con l’altro. Vogliamo il dialogo religioso e culturale. Vogliamo che i nostri media si aprano alle altre nazioni, la loro cultura, costumi e credenze, dal momento che i media non hanno valori se non introducono nuove idee e culture e allargano la nostra conoscenza».

Sarebbe importante che l’Occidente – oltre a combattere i governi islamisti che gli hanno dichiarato guerra – cogliesse con attenzione questi limitati segnali appena emersi con fatica da paesi complicati come l’Arabia Saudita e, aggiungiamo, il Libano, facendo in modo che le opposizioni interne all’integralismo islamista non si sentano abbandonate bensì supportate dai possibili alleati occidentali.