In Armenia il fantasma di Maidan

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In Armenia il fantasma di Maidan

17 Luglio 2015

Il fantasma che si aggira in questi giorni per l’Armenia – e incomincia ad affacciarsi di riflesso in Russia – si chiama Maidan. Perché nel silenzio dei media occidentali, e soprattutto italiani, la rivoluzione arancione che in Ucraina trovò la sua tragica consacrazione nei giorni della rivolta anti Yanukovich sta mettendo radici là dove non ci sarebbe aspettati.

 

Dov’è precisamente l’Armenia, e che cosa vi sta succedendo? Più conosciuta oggi per i tanti riferimenti al genocidio commesso dai turchi ottomani fra il 1915 e l’anno successivo nei confronti del suo popolo, l’Armenia è un territorio relativamente piccolo, compreso fra il Mar Nero e il Caspio.

 

Geograficamente sul confine fra due continenti, ma storicamente e culturalmente europeo, il paese è stato tranquillamente annesso un anno fa dalla Russia putiniana allo spazio “euroasiatico”, che vorrebbe scimmiottare l’Unione Europea, contrapponendole una associazione di Stati con poco in comune (oltre alla Russia, ci sono la Bielorussia, il Kazakistan, il Kirghizistan…) ma utile all’allargamento della influenza economica di Mosca, e funzionale al disegno di restaurazione dello spazio sovietico.

 

Perché la gente in questi giorni è scesa in piazza ad Erevan, la capitale, circondando il parlamento? Apparentemente per una ragione “venale”: l’aumento pesante delle bollette della luce e del gas. Per quantificare: una crescita attorno al 25-30 per cento che colpisce il reddito di un cittadino medio attorno ai 100-150 euro al mese (ma un terzo è sotto questa cifra e il 18 per cento è disoccupato).

 

La notizia dell’ennesimo aumento ha provocato una rabbia comprensibile, se si pensa che già ora gran parte della popolazione non può permettersi di tenere accesa la luce in casa per gran parte del tempo.
Ma la verità più profonda è che la miseria popolare in Armenia va di pari passo con la corruzione, il declino dell’industria, la mancanza di qualsiasi trasparenza democratica, il monopolio del potere da parte dei circoli filo russi. La costruzione “euroasiatica” di Putin, da lui spesso sbandierata come la prova del suo “contropotere” rispetto alla Ue, è soltanto un mercato comune della miseria e della simil democrazia.

 

Ecco perché, appena si è messa in moto la protesta, subito la Russia ha mobilitato i suoi giornalisti di regime, opinion-maker, simpatizzanti esteri per ridimensionare e nascondere gli avvenimenti armeni. Parola d’ordine: quella di Erevan non è un’altra piazza Maidan, un’altra rivoluzione democratica anti Putin. Perché se così fosse, crollerebbe definitivamente il castello di carta della “Unione Euroasiatica”.

 

Il bello è che, in questa affermazione, c’è una dose di verità: la protesta armena, in superficie, è puramente economica. Ma se si guarda dietro alle apparenze, ci si accorge che il suo cuore – proprio come è accaduto in Ucraina – è formato dai giovani di istruzione medio alta, in gran parte cittadini, insofferenti del conformismo e della corruzione dei partiti al potere. Il paradosso è che, proprio mentre getta acqua propagandistica sul fuoco, Mosca e i suoi alleati rischiano di attizzarlo. Ci si potrebbe presto trovare davanti alla classica profezia che si auto avvera: cioè, a forza di escludere l’esistenza di un’altra rivoluzione democraticae come quella di piazza Maidan, questa alla fine prende corpo.

 

Perciò l’Occidente democratico, senza aspettare che si versi sangue, deve far sentire subito la sua voce al popolo armeno, fargli capire che non è solo. Già ora circola, per le strade di Erevan, una battuta significativa e carica di humour nero: un tempo la Russia dichiarava di voler esportare in tutto il mondo la rivoluzione rossa, adesso si è messa ad esportare quella arancione.

 

(TRATTO DA LIBERTATES)