In attesa di trovare identità, il Pd entra nell’imbuto delle dispute ideologiche

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In attesa di trovare identità, il Pd entra nell’imbuto delle dispute ideologiche

22 Giugno 2010

E’ una scorciatoia sempre facile da percorrere. In mancanza di una identità precisa che faccia risuonare la convinzione della scelta compiuta, niente di meglio che ripiegarsi all’indietro e battere sul tasto della nostalgia. E così il Partito Democratico ritorna nella tenaglia delle dispute ideologiche fuori tempo massimo, varca la frontiera del surreale e inizia a dibattere se chiamarsi “compagni” sia un appellativo credibile oppure smentisca con una semplice parolina il percorso di emancipazione fatto in questi anni.

La disputa, ovviamente, non è soltanto semantica. Come spiega Beppe Fioroni, si tratta di “una parola che ha significato molto per una delle componenti che ha dato vita al Pd, e che a me è anche biblicamente molto cara: ma, come tutti i simboli, produce degli effetti di parte e, come il termine amici, dà l’idea dell’irruzione del passato nel presente che, in assenza di altri simboli, riusa quelli del passato. O peggio dà l’idea che il presente sia uguale al passato e in questo caso appariremmo come dei nostalgici”. Un dubbio, quello del ripiegamento sulle vecchie parole d’ordine, già posto all’attenzione pubblica da alcuni dirigenti romani e pugliesi, che si sono chiamati «Nativi» perché nati col Pd, e in quanto tali fieri di non essere mai stati comunisti o democristiani.

"Abbiamo l’età del Pd e vorremmo che anche la nostra tradizione politica fosse quella del Pd", chiedono. Ma il sospetto di avere indossato una maglia che sia soltanto la copertura, o forse la fodera, di quella dei Ds è piuttosto diffuso. Così come il malumore per l’organizzazione di Feste che, come accaduto a Roma, vengono presentate come “Feste dell’Unità” piuttosto che come “Feste democratiche”.

Il richiamo della foresta, insomma, è forte. E questa mattina una riunione della Direzione teoricamente centrata molto sulle questioni tecniche del partito rischia di trasformarsi nell’ennesimo sfogatoio. Nell’ordine del giorno c’è già un’altra questione calda: quella delle decisioni della Commissione di garanzia sull’appartenenza alla massoneria. Quindi, codice etico interno, procedure e sanzioni. Inoltre, sul tavolo della riunione ci sono le iniziative legate a “Pd open”, l’approvazione del rendiconto 2009, le questioni legate alla prossima Assemblea nazionale di ottobre.

Ma appare inevitabile un passaggio sul corretto utilizzo del “compagni e compagne” usato dell’attore Fabrizio Gifuni alla manifestazione sulla manovra, perché di piantare i piedi nella tradizione marxista gli ex Popolari non sembrano avere alcuna voglia. Tant’è che Arturo Parisi, uno che è solito animare le riunioni del partito senza mandarla a dire, dice senza mezzi termini che si tratta di “una questione serissima, non una tempesta in una tazza da tè” mentre lo stesso Beppe Fioroni sulla questione scrive una lettera a Pierluigi Bersani mettendolo in guardia dal rischio di limitarsi a “rispettare chi la pensa diversamente o essere tolleranti perché, solitamente, si tollera chi è fastidioso”.

I toni, insomma, si mantengono taglienti. Gli ex democristiani, d’altra parte, hanno anche altri motivi di malessere. Tanto per citare l’ultimo caso, a loro non è certo piaciuta la scelta di uscire dall’aula nel corso della discussione sul ddl intercettazioni. Avrebbero preferito che il partito tenesse i nervi saldi e votasse contro la fiducia. L’ala moderata si interroga di continuo se il partito non stia sbandando troppo a sinistra e se la guida di Bersani non stia diventando davvero troppo disattenta alle esigenze della componente cattolica. Soprattutto quando ci si accorge che, come è accaduto con il ddl in questione, si lascia il principio della tutela della privacy nella disponibilità di Berlusconi e il ruolo di opposizione costruttiva a Fini. Al contrario, sussurrano molti moderati, sarebbe stato opportuno lavorare e creare le condizioni per modificare quella legge, magari partendo dal presupposto che non può essere dato per scontato che le conversazioni private della gente debbano finire in pasto al pubblico e che gli slogan barbari, alla “intercettateci tutti”, debbano essere accettati come normali in un Paese civile.

Dubbi, peraltro, resi ancora più concreti dall’affondo lanciato da Fabrizio Dondolino, deciso a mette il dito nelle contraddizioni del Pd attraverso la pubblica citazione del programma del Pd del 2008, lo stesso che proponeva un provvedimento sulle intercettazioni praticamente identico a quello in via di approvazione da parte del Parlamento.

Il polverone, insomma, è fitto e la tela della discussione decisamente intricata. E se la falce e il martello e la bandiera rossa restano ancora ben nascosti negli scatoloni ammassati in cantina, il disagio per parole, comportamenti e scelte politiche discutibili fa fatica a rimanere chiuso nei cassetti della ragion di partito. Il disagio resta palpabile. Quel che è certo è che Pierluigi Bersani ci penserà due volte, questa mattina, prima di aprire il dibattito con il “cari compagni e care compagne” utilizzato proprio da lui nell’ultima riunione della Direzione.