In Aula il semipresidenzialismo finisce ostaggio dei (soliti) veti incrociati
12 Giugno 2012
Che il semipresidenzialismo avesse davanti a sé una montagna da scalare lo si sapeva ancor prima dell’esordio nell’emiciclo del Senato, tra contromosse piddine e repliche pidielline. Esordio con stallo, a voler sintetizzare l’esito del primo round d’Aula. Ma il punto vero della questione lo rileva con chiarezza Gaetano Quagliariello quando dice che occorre avere coraggio perché “molto presto potremmo pentirci. I tempi ci sono”. Davanti al cammino delle riforme ci sono otto mesi, dunque serve coraggio perché alla fine a vincere “non sarà nè la destra, nè il centro, nè la sinistra ma l’Italia”, è l’esortazione del vicepresidente dei senatori Pdl.
Eppure nell’Aula del Senato è andato in scena ben altro. E nonostante la discussione sulla riforma costituzionale sia solo all’inizio, il risultato del primo round è netto: stallo. E’ bastata la presentazione dei sei emendamenti sul semipresidenzialismo targati Pdl a scatenare la reazione del Pd, anzi la contromossa: accantoniamo gli emendamenti e lavoriamo insieme all’approvazione di una legge costituzionale per poi tenere nel 2013, in contemporanea con le elezioni politiche, un referendum propositivo di una nuova forma di governo. Il che significa fare carta straccia della proposta pidielle ancora prima di discuterla nel merito. Ancora prima di ‘andare a vedere le carte’ come, invece, chiedono da giorni – e ieri lo hanno ribadito – sei senatori democrat: Stefano Ceccanti, Paolo Giaretta, Enrico Morando, Magda Negri, Giovanni Procacci, Giorgio Tonini.Sono convinti che la scelta per la forma di governo semipresidenziale abbinata al doppio turno di collegio e a una legge incisiva sul conflitto di interessi del Presidente eletto, non possa essere respinta “come soluzione irragionevole, visto l’attuale contesto politico”.
Oggi l’assemblea del gruppo si pronuncerà (su richiesta degli stessi sei senatori), anche se è facile intuire come finirà il voto. Anche perché in Aula la capogruppo Finocchiaro è stata chiara nel portare avanti la tesi – o meglio, la tattica – del partito: “Se ci deve essere una rinascita, ci sia col massimo dell’investimento possibile” (dunque non ora ma nel 2013 e dopo il passaggio referendario). Non solo: se le modifiche Pdl dovessero passare, il Pd chiederà che il testo torni in commissione perché “non si possono approvare degli emendamenti che cambiano lo spirito ed il merito di un testo”, frutto di un’intesa dai partiti, è il ragionamento.
In realtà, a ben guardare, il problema pare un altro: la legge elettorale. Che per il Pd è e resta la vera priorità, ancor prima e a prescindere dalle riforme. Del resto le dichiarazioni degli esponenti democrat più oltranzisti si rincorrono da giorni: chi sostiene che quella del Pdl è una mossa per andare al voto tra un anno col Porcellum, chi rilancia che non c’è tempo e dunque facciamo qualche ‘riformetta’ ma prima mettiamo mano al sistema di voto. Chi, ancora, pensa solo alla legge elettorale. E le scintille dalle parti di Largo del Nazareno rimbalzano a Palazzo Madama, con Rosy Bindi che sconfessa la Finocchiaro e invita il Pd a tenere il punto.
Alla presidente dei senatori, la presidente del partito dice due cose. La prima: in direzione nazionale, del referendum di indirizzo non si è parlato e dunque non era nelle decisioni assunte dallo stato maggiore del partito dopo tre ore e passa di ‘conclave’. La seconda: la Costituzione non è merce di scambio, quindi si cambi il Porcellum senza baratti. Eppure l’iniziativa della Finocchiaro non è stata di certo estemporanea ma, come del resto era prevedibile, concordata con Bersani e Violante quest’ultimo in prima linea sul dossier riforme e legge elettorale. Quanto basta per capire il livello di fibrillazioni dentro il Pd.
Lo stesso che si percepisce all’interno del Pdl e le parole di La Russa sono esemplicative: sono soprattutto gli ex An a temere che alla fine qualcuno nel partito potrebbe essere disponibile ad ascoltare le sirene piddine e, magari, a votare contro il semipresidenzialismo. Per questo il coordinatore nazionale mette le mani avanti lanciando un avvertimento: “Io, come altri, non staremo in un partito dove c’è gente che vota contro il semi-presidenzialismo”.
Fin qui il primo round. Ma se questo è l’inizio, quando e se sarà il momento di contarsi non è escluso che un ruolo determinante per il destino del semipresidenzialismo lo potrebbe giocare la Lega dal momento che i suoi voti insieme a quelli di Pdl, Fli e Coesione nazionale sarebbero necessari a far passare gli emendamenti. Per ora il Carroccio non si sbilancia troppo anche se il capogruppo al Senato fa intendere il punto di mediazione possibile: disponibilità al confronto se la contropartita è il Senato federale.
Alla fine dei giochi, prevarrà il coraggio della responsabilità evocato da Quagliariello o la contromossa della Finocchiaro? La partita è aperta ma il finale, purtroppo, ancora molto incerto. Troppo.