In Bahrein il ‘panem et circenses’ della Formula 1 non funziona più
21 Aprile 2012
La molotov lanciata contro un mezzo della scuderia Force India non ha danneggiato il van della scuderia di Formula Uno ma l’onda d’urto dell’esplosione è arrivata fino alla corte del sovrano del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Nel Paese del Golfo Persico gli scontri tra dimostranti e forze di sicurezza sono diventati più aspri, sono aumentati gli arresti e la polizia ha incrementato i controlli nelle aree più vicine agli hotel e al circuito di Formula Uno.
Già lo scorso anno il Gran premio era stato cancellato a causa delle proteste anti-governative che avevano provocato almeno cinquanta morti. A febbraio dello scorso anno la principale piazza della capitale Manama si era riempita di migliaia di persone che, imitando gli egiziani di piazza Tahrir chiedevano riforme democratiche. Il sovrano ha represso le manifestazioni e le proteste dei mesi successivi con la violenza e ha introdotto la legge marziale. Le rivolte hanno spaventato non solo i reali del Bahrain ma tutte le petro-monarchie sunnite del Golfo.
Per evitare l’effetto contagio della primavera araba (nonostante le dimensioni delle sommosse non siano state paragonabili a quanto accaduto in Egitto o in Libia ) hanno fatto le cose in grande inviando mille soldati sauditi e 500 poliziotti degli Emirati arabi uniti sotto le insegne del Consiglio di cooperazione del Golfo. Un organizzazione (fondata nel 1981 subito dopo la guerra tra Iran e Iraq) che riunisce Arabia Saudita Kuwait, Qatar, Bahrein, Oman e Emirati arabi uniti. A livello strategico, il Gcc nasce difendere i regimi sunniti del Golfo dall’espansionismo iraniano. Questo sfoggio di muscoli è servito soprattutto a mettere insicurezza le installazioni petrolifere e per evitare il caos nell’isola che è il centro mondiale dell’”islamic banking”, polmone finanziario dei ricchi Paesi del Golfo.
Adesso da Rhiad a Manama l’ombra di Teheran fa ancora più paura. Per il Ccg il Bahrain è la linea rossa che non deve essere superata. Il Paese potrebbe trasformarsi nel terreno di scontro tra il khomeinismo iraniano e il wahabismo saudita. Dietro le periodiche proteste in Bahrein i regimi sunniti scorgono la longa manus dell’Iran (che a distanza di secoli continua a percepire il piccolo arcipelago come un proprio possedimento, definendolo la “quattordicesima provincia iraniana). E’ prima di tutto la parte sciita della popolazione (quasi io 70 per cento ma con pochissimi potere), anche se non esclusivamente, che si é rivoltata contro il governo.
La monarchia del Bahrein la considera la quinte colonne del regime degli ayatollah per allungare le mani sulle risorse petrolifere del piccolo regno. Al Khalifa ha parlato apertamente di “complotto straniero da sventare”. A rendere ancora più minacciosa l’incombente minaccia iraniana, venerdì sono arrivate le parole di Moqtada al Sadr ch ha chiesto il boicottaggio del Gran Premio perché “strumento di propaganda in mano ai dittatori”. Il giovane imam, legatissimo all’Iran ha parlato dalla città irachena di Najaf (luogo sacro dell’Islam sciita) spaventando tutte le case regnati del Golfo.
Il vento della primavera araba deve soffiare lontano. Lo si capisce anche dal fatto che Al Jazeera, la televisione del Qatar che ha dato voce alle rivolte in Egitto, Libia e Siria, non ha dato lo stesso risalto alle proteste in Bahrein. La caduta della dinastia Al Khalifa sotto la spinta della maggioranza sciita metterebbe in allarme anche gli americani. Il Bahrein ospita il quartier generale della V Flotta della marina statunitense, responsabile delle operazioni militari nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nel Mare Arabico. Praticamente il principale strumento della supremazia americana nel grande Medio Oriente.
La caduta di Al Thani sconvolgerebbe gli equilibri regionali. Naturalmente non c’è nessuna prova che l’Iran abbia fomentato la rivolta sciita ma è chiaro che il caos di Manama rappresenta un’opportunità per il regime di Teheran per estendere la propria destabilizzante influenza.