In campo Repubblicano siamo già alla super sfida: Romney vs. Perry

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In campo Repubblicano siamo già alla super sfida: Romney vs. Perry

In campo Repubblicano siamo già alla super sfida: Romney vs. Perry

03 Settembre 2011

Mentre l’economia statunitense annaspa, con un tasso di disoccupazione al 9,1%, e il presidente Obama è atteso al varco con il suo discorso sullo stato dell’occupazione di fronte al Congresso riunito alla Camera dei Rappresentanti e previsto inizialmente per l’8 Settembre, e poi anticipato al 7 Settembre, causa sovrapposizione con dibattito tra i candidati Repubblicani, mentre insomma Obama se la passa maluccio (e con lui l’economia americana), in campo Repubblicano si definiscono i ruoli e emergono le tenzoni elettorali tra frontrunner e underdog, favoriti e inseguitori. E’ passato poco meno di un mese dall’annuncio della discesa in campo del governatore del Texas, Rick Perry, e nella corsa alla nomination Repubblicana già è cambiato tutto. Mitt Romney, l’ex-governatore del Massachusetts, fino a un mese dato per favorito nella corsa alla vittoria in casa Repubblicana, deve adesso fare i conti con uno spettacolo sondaggistico bigio.

Da poco meno di un mese, le cose sono infatti molto cambiate. Perry ha oramai trasformato la geografia elettorale del campo conservatore, e da due settimane guida saldamente i sondaggi, da quelli Rasmussen passando per Gallup fino ad arrivare ai sondaggi di sinistra della CNN o quelli conservatori di Fox News: tutti danno Perry in vantaggio in una ‘forchetta’ che va dal + 6% (sondaggio Quinnipiac sul periodo 16-27 Agosto), al +13 (sondaggio CNN/Opinion Research 24-25 Agosto scorso). In media, Perry parrebbe guidare i sondaggi dell’ultimo mese con un + 9,3% sul suo sfidante Romney.

La corsa sembrerebbe ormai a due. Michele Bachmann, la preferita dal Tea Party, sembra aver perso un po’ di smalto, benché in queste prime battute di primarie giochi in casa nell’Iowa (la Bachmann è nata 56 anni fa a Waterloo proprio in quello Stato) e nell’altro Stato che apre le danze delle primarie, il New Hampshire, non se la cavi male, piazzandosi in seconda posizione, al 13,3%, dietro a Romney.

Comunque vada nei due Stati appena menzionati, Romney ha un problema politico maggiore: il fatto che in sole tre settimane, da frontrunner su scala nazionale, sia finito a inseguitore, sta spingendo i suoi manager di campagna elettorale a ripensare l’approccio generale e il posizionamento del loro candidato. Perry è infatti entrato nella tenzone per le primarie presentandosi come il governatore con il buon attivo in economia (a cui ha fatto subito seguito qualche derapage, come quello di aver definito le politiche del governatore della FED, Ben Bernanke, quelle di un “traditore”), un bel sostegno tra i social conservatives, denari in abbondanza e soprattutto un significativa capacità di attrarre i consensi tra i Tea Party. Sostegni a parte, Perry si presenta come un fixer, uno che mette a posto le cose, prendendo in prestito la definizione da Bill O’Reilly, l’anchor di Fox News.

Anche Mitt Romney ha la stessa voglia di presentarsi come il risolutore di problemi. Si promuove come il candidato che proviene dal settore privato, che se la prende con i politici di professione, quelli di Washington ma non solo (anche quelli di Austin, Texas).

Sul fronte delle relazioni con il tea party, Romney sta cercando di riconquistare consensi. Non è un caso che negli ultimi dieci giorni, il suo staff abbia lanciato una grande offensiva di imbonimento verso la base “small government, low taxes”, ‘poco Stato, basse tasse’ dei Tea Party. Romney incontrerà presto sostenitori del movimento in New Hampshire (lo Stato che per primo sarà terreno di battaglia), benché da molte parte la svolta dell’ex-governatore sia considerata una mossa opportunistica e priva di convinzioni (questa la posizione di Freedom Works, un gruppo Tea Party anti-Romney). Mitt Romney, a differenza di molti altri candidati, non ha mai smesso di fare campagna elettorale. E’ dal 2007 che continua a rastrellare soldi, da quando rinunciò alla corsa, aprendo completamente la via a John McCain nella corsa (fallita) alla Casa Bianca. L’ex-governatore del Massachusetts, mormone di religione, ha sempre impostato il suo posizionamento politico sul centro dello spettro, dove da sempre gli indipendenti stanno, oscillanti tra Democratici e Repubblicani. D’altronde sono loro che decidono chi va nello studio ovale.

Il problema di Romney è che a questo punto non è più certo il suo profilo da ‘favorito’, e non è detto che una strategia poco flessibile non progiudichi la sua corsa alla nomination. Se il posizionamento al centro può essere saggia scelta dopo la conquista della nomination repubblicana, farlo prima di averla acquisita può essere rischioso. La base Repubblicana non lo ama per il suo flip-flop in materia di aborto, per il suo piano di sanità pubblica varato nello Stato del Massachusetts, non dissimile da quello varato a livello federale dall’attuale inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, e estremamente inviso alla base Repubblicana.

E poi c’è il problema della narrativa: comune a dire il vero, non solo a Romney, ma anche a candidati come Rick Perry, Michele Bachmann, o Ron Paul, il candidato libertario un po’ jacksoniano che non gli dispiacerebbe ripensare il ruolo della FED. Ma potrebbe essere un falso problema: forse stavolta gli elettori americani se ne fregheranno della narrativa e chiederanno al futuro presidente di prendere in mano i problemi dell’economia statunitense, presa nella morsa di una disoccupazione al 9% e del rischio di una doppia recessione, dopo il fallimento del piano di stimolo di Obama, con un debito pubblico alle stelle, e il downgrade dello scorso mese. Perry resta comunque la sorpresa dell’estate. Staremo a vedere se riuscirà a sopravvivere all’inverno.