In Congo Hutu eTutsi trovano un nuovo terreno di scontro
01 Novembre 2008
di Anna Bono
L’intensificarsi dei combattimenti nel Nord Kivu, provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo, riaccende i riflettori su uno dei più cruenti conflitti africani. Dal 1998 a oggi in RD Congo la guerra ha infatti ucciso non meno di quattro milioni di civili e ha messo in fuga centinaia di migliaia di persone, tuttora assistite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Scoppiata pochi mesi dopo che Laurent Désiré Kabila, al termine di un altro conflitto, aveva abbattuto il regime del dittatore Sese Seko Mobutu, si è conclusa ufficialmente con gli accordi di pace del 2003, ma, soprattutto nell’est, non si è mai smesso di combattere, neanche dopo le elezioni generali del 2006 che hanno confermato alla guida del paese Joseph Kabila, nel frattempo succeduto al padre assassinato nel 2001, assegnando un ruolo politico ai “signori della guerra” sconfitti. In Nord e Sud Kivu e nell’Ituri si lotta per il controllo di immense risorse naturali sulle quali in questi anni hanno messo le mani anche gli stati confinanti, Uganda e Rwanda, ma a ciò si aggiunge il fattore etnico già responsabile in Rwanda del più terribile scontro tribale della recente storia africana: quello pluridecennale tra Hutu e Tutsi, degenerato nella primavera del 1994 quando in soli 100 giorni gli Hutu uccisero 937.000 connazionali in prevalenza Tutsi prima che le milizie di questa etnia guidate da Paul Kagame prendessero il sopravvento. Alcuni milioni di Hutu, allora, si riversarono in RD Congo per sottrarsi alla vendetta Tutsi trovando però ad attenderli non solo le strutture per i rifugiati delle Nazioni Unite, ma le popolazioni Tutsi congolesi.
Il protagonista degli scontri di questi giorni è appunto un congolese di etnia Tutsi: Laurent Nkunda, un ex generale dell’esercito fondatore del movimento antigovernativo Congresso nazionale per la difesa del popolo, Cndp. Nkunda rivendica il dirittto di difendere la propria etnia dagli Hutu rimasti in RD Congo, armatisi con la complicità del governo di Kinshasa che sosterrebbe militarmente le milizie Hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda, Fdlr. A sua volta il governo congolese sostiene che il Cndp è la mano armata del governo rwandese grazie a cui il presidente Kagame attinge alle ricchezze minerarie della regione. Certo è che, dopo aver messo in fuga l’esercito congolese ed essersi fermato spontaneamente alle porte della capitale del Nord Kivu, Goma, adesso Nkunda, in cambio di una sospensione dei combattimenti, chiede tra l’altro la revoca degli accordi stipulati con Pechino dal governo che affidano a ditte cinesi ingenti concessioni di sfruttamento minerario in cambio di infrastrutture per il valore di nove miliardi di dollari.
Gli sviluppi dei prossimi giorni saranno decisivi e, ancora una volta, si vedrà se e come la comunità internazionale e in particolare le Nazioni Unite e l’Unione Africana sapranno intervenire per evitare il peggio, dopo un anno segnato da un susseguirsi di insuccessi diplomatici ai quali proprio in questi giorni si aggiunge la notizia dell’ulteriore rinvio delle elezioni presidenziali in Costa d’Avorio, in crisi dal settembre del 2002 dopo un fallito colpo di stato.
In RD Congo è già operativa dal 2000 una missione ONU di peacekeeping, la Monuc, inizialmente costituita da poco più di 10.000 unità, in seguito portate a oltre 16.000 tra truppe e osservatori provenienti da 49 paesi. Al momento presidia Goma dopo il ritiro delle truppe congolesi che hanno lasciato la città saccheggiandola e seminandovi il panico. Ma nessuno crede più che la sua presenza possa bastare a proteggere la popolazione, tanto meno gli abitanti di Goma e gli sfollati che per sottrarsi all’esercito di Nkunda hanno abbandonato i campi di raccolta in cui erano ospitati. Proprio nell’est RD Congo nelle scorse settimane per protestare contro i caschi blu incapaci di fermare la violenza sono stati attaccati più volte degli edifici Nazioni Unite. Che la Monuc sia in difficoltà è confermato dalle dimissioni, motivate, anche se non ufficialmente, dalla mancanza di mezzi e truppe sufficienti, presentate il 27 ottobre dal generale spagnolo Vicente Diaz de Villegas a soli due mesi dalla sua nomina a capo della missione.Per questo è essenziale che Nkunda mantenga la promessa di aprire corridoi umanitari per permettere l’assistenza agli sfollati, per soccorrere i quali la comunità internazionale ha già stanziato nuovi fondi e predisposto interventi d’emergenza: negli ultimi giorni circa 45.000 persone si sono date alla fuga aggiungendosi alle 200.000 che dall’inizio dell’anno hanno perso casa e mezzi di sostentamento a causa della guerra.