In Corea siamo allo stallo. Nessuno si fida più del clan di Kim Jong-il
08 Ottobre 2011
Il regime comunista in Corea del Nord rappresenta il più abominevole esempio dei risultati a cui giunge il socialismo reale. Nello stato-prigione voluto da Stalin e governato con disumana efficienza dalla famiglia Kim, la popolazione muore letteralmente di fame, mentre gli oppositori politici vengono deportati in campi di concentramento dove stupri, torture, lavori forzati ed esecuzioni di massa sono la norma.
In questo inferno, i paradossi e le contraddizioni sono innumerevoli, a partire dall’autostrada ad otto corsie che collega la capitale Pyongyang al villaggio natale dei Kim. Ma il paradosso piu’ assurdo e’ indubbiamente il programma di armamento nucleare. L’ambizione atomica della Corea del Nord risale agli anni ’50, ma solo ultimemente lo stato comunista e’ riuscito ad accumulare abbastanza uranio ed informazioni (da Pakistan ed Iran) da sfiorare l’obiettivo. Tuttavia, mentre il diabolico disegno di armamento prosegue, l’economia collettivizzata nordcoreana e’ allo stremo, tanto che Kim Jong-il deve contare sugli aiuti umanitari degli odiati nemici occidentali per mantenere in piedi il suo teatrino degli orrori.
Questa intricata situazione ha fatto sì che dal 2003 la Corea del Nord si sedesse al tavolo delle trattative. Il cosiddetto Gruppo dei Sei, che comprende Corea del Nord, Corea del Sud, Stati Uniti, Giappone, Russia e Cina aveva ufficialmente il compito di risolvere i conflitti nella penisola coreana e garantire la pace in estremo oriente. Ovviamente, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti pretendono la cessazione di qualsiasi ostilita’ da parte del regime dei Kim e prove concrete dell’abbandono del piano nucleare.
La Corea del Nord tende invece a spostare l’attenzione sui suoi problemi economici, chiedendo aiuti in denaro, combustibili e cibo. La macabra ironia é che mentre elemosinano aiuti all’estero, i vertici del partito comunista nordcoreano si adoperano in una incessante propaganda interna, raccontando alla popolazione moribonda che l’economia pianificata socialista é un successo e che i fratelli del Sud se la passano molto peggio (!).
Fasi costruttive e di stallo si sono alternate fino all’aprile del 2009, quando la Corea del Nord si é ritirata dalle trattative (dopo aver incassato montagne di aiuti nel corso degli anni, senza aver fornito prova alcuna della rinuncia alla bomba atomica). Da allora, la Corea del Nord ha alzato il livello delle provocazioni, con test atomici tra cui quello del maggio 2009, che ha provocato un terremoto di magnitudine 4.7. Ai test hanno fatto seguito gli attacchi militari contro la Corea del Sud, come l’affondamento della nave corvetta Cheonan, il 26 marzo 2010, che costò la vita a 46 soldati sudcoreani, la maggior parte dei quali giovani ragazzi che stavano svolgendo il servizio di leva.
Un’inchiesta internazionale condotta da Stati Uniti, Svezia, Canada ed Australia, ha determinato che a colpire la Cheonan fu un missile torpedo sparato da un piccolo sottomarino nordcoreano. Qualche mese dopo, il 23 novembre 2010, la Corea del Nord sparò 170 tra colpi di artiglieria e missili sulla piccola isola sudcoreana chiamata Yeonpyeong, uccidendo due soldati e due civili.
In queste settimane, a quasi un anno dagli attacchi e con la situazione umanitaria nordcoreana in peggioramento, la diplomazia si sta muovendo per riaprire le trattative, prima quelle bilaterali tra le due Coree, poi quelle del Gruppo dei Sei. Ma la missione non é semplice: sia perché la Corea del Nord ha dimostrato di non essere minimamente affidabile, sia perché l’Occidente si é stancato di aiutare il regime dei Kim senza ottenere nulla. La settimana scorsa, a Pechino, emissari delle due Coree si sono incontrati per parlare delle reciproche condizioni poste per ricominciare gli incontri del Gruppo dei Sei.
Il faccia a faccia é stato un fallimento, perché Pyongyang vuole riaprire i negoziati immediatamente (bene ricordare che a febbraio sarà il compleanno dell’”Amato leader”, che usa distribuire ai moribondi sudditi un po’ di cibo per festeggiare). Al contrario, Seoul (come Washington) non ha fretta, e pretende che la Corea del Nord dia finalmente un segnale concreto prima di riaprire il tavolo delle trattative. Nel corso dell’incontro a Pechino, l’emissario sudcoreano ha indicato come possibili gesti preventivi di distensione richiesti a Pyongyang la cessazione immediata del programma di arricchimento dell’uranio, la riapertura delle frontiere nordcoreane agli ispettori dell’ONU, la sospenzione di test missilistici, o le scuse per le vittime dell’attacco a Yeonpyeong.
Dietro alle ferme richieste di Corea del Sud e Stati Uniti vi é la chiara volontà di non farsi più prendere in giro. Se la Corea del Nord vuole davvero riavviare il Gruppo dei Sei, ora dovrà provare concretamente la fine del suo militarismo sfrenato; e se Kim Jong-il vuole anche solo arrivare a parlare di aiuti umanitari, prima dovrà dare risposte a vari quesiti. Ad esempio: che fine hanno fatto i circa 500 pescatori sudcoreani rapiti dal regime comunista nel corso degli ultimi decenni? Che fine hanno fatto i cittadini giapponesi rapiti dalle spiagge patrie 30 anni fa? Che condizioni vivono gli oppositori politici detenuti nei campi di concentramento nordcoreani? Che passi in avanti accetta di fare Pyongyang riguardo il rispetto dei più basilari diritti umani?
Come spiegato una settimana fa sulle colonne del Korea Times da Donald Kirk, a nessuno piacciono le immagini di persone che muoiono letteralmente di fame in Nord Corea, ma allo stesso tempo nessuno vuole ricascare nell’errore di spedire immensi aiuti umanitari a Pyongyang senza certezza alcuna su come vengano usati dal regime. E per giunta venendo presi in giro riguardo la cessazione dei test atomici e degli altri crimini in cui Kim Jong-il, con la sostanziale benedizione della Cina, é costantemente affaccendato.
La situazione potrebbe essere sbloccata da una trattativa ufficialmente “separata”: quella bilaterale tra USA e Nord Corea riguardante i corpi di giovani americani morti durante la guerra del 1950-1953. Il sacrificio di questi soldati permise alla Corea del Sud di respingere l’attacco comunista. Per riportare i resti di questi ragazzi in America, gli USA chiedono da decenni alla Corea del Nord di permettere ricerche e scavi mirati nelle zone lungo il confine.
Secondo un’indiscrezione proveniente da fonti diplomatiche a Seoul, Kim Jong-il avrebbe finalmente accettato un incontro tra i suoi emissari e rappresentanti americani a Bangkok, in Thailandia, per parlare di questo argomento. Se gli USA decidessero di fornire alcuni aiuti umanitari in cambio dell’accesso ai corpi dei propri caduti, a quel punto Kim Jong-il non avrebbe scuse per non riaprire il Gruppo dei Sei con un gesto di concreto disarmo.