In economia spuntano i Potenti-pentiti
11 Aprile 2007
Da qualche tempo, in Italia, si sta affermando una nuova figura pubblica: il potente-censore, o se preferite il potente-pentito. Il potente-censore è di solito una figura posta ai vertici del nostro sistema di potere, da tempo immemore ha pieno accesso alla stanza dei bottoni. E’ stato quindi corresponsabile dell’assunzione di alcune decisioni che hanno negativamente influito sul sistema-paese ma oggi, improvvisamente pentito, le denuncia con sdegno, candidandosi a gestire la “ricostruzione morale” e quella, assai più materiale, del sistema che hanno contribuito ad affondare.
Il primo esemplare di questa nuova specie di insider che giocano a fare gli outsider è stato, giorni addietro, Guido Rossi: l’avvocato d’affari che da decenni fa sfoggio di virtuosismo nel disegnare scatole cinesi, patti di sindacato e ogni altra sovrastruttura societaria che utile a blindare il controllo di gruppi di aziende da parte di munifici principi squattrinati del capitalismo italiano. Oggi, è la volta dell’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti. Nominato dall’Unione in ossequio allo spoils system che da un quindicennio rappresenta il principale attentato ai conti pubblici, Moretti è da sempre un grande insider delle ferrovie italiane. Almeno dai tempi in cui era il segretario nazionale della Flt-Cgil e, in quel ruolo, si trovò a cogestire d’amore e d’accordo con l’allora presidente delle FS, Necci, l’esodo di 80.000 ferrovieri, negli anni Novanta. Operazione di grande successo, tranne che per i contribuenti italiani. Oltre agli esborsi per prepensionamenti e dimissioni incentivate, quella cura dimagrante beneficiò soprattutto i ferrovieri rimasti, visto che il costo del lavoro delle ferrovie, lievitò a livelli comperabili con quelli precedenti all’esodo degli 80.000.
Già alla guida di Rete Ferroviaria Italiana, il gestore della rete, ospite fisso alle Feste de l’Unità, Moretti è stato tempo addietro al centro di una velenosa polemica sollevata dalla trasmissione Report, in cui venne denunciata la progressiva perdita di sicurezza della rete ferroviaria, a causa dei tagli agli investimenti decisi dalla sua gestione. Come disse all’epoca Milena Gabanelli: l’ingegner Mauro Moretti è uomo di ampie vedute. Da segretario nazionale della CGIL della federazione italiana trasporti, passa dall’altra parte e oggi è amministratore delegato di RFI, la società proprietaria dei binari e responsabile della sicurezza e manutenzione. Secondo la testimonianza che abbiamo appena sentito Mauro Moretti sarebbe una figura chiave nello smantellamento dei reparti di manutenzione e riduzione di personale. Accuse gravi alle quali ha rifiutato di replicare. Rimane il fatto, moralmente discutibile anche per chi gli ha conferito questo incarico. E’ come se Cofferati a un certo punto fosse diventato l’amministratore delegato della Pirelli Cavi.
Oggi, Moretti guida Trenitalia. Dopo una campagna di terrorismo psicologico in cui prospettava nientemeno che il fallimento delle ferrovie (che fallite lo sono da sempre, a onor del vero), è riuscito a ottenere dal governo Prodi robusti aumenti delle tariffe per il 2007, del tutto sganciati dalla cornice del contratto di servizio e da qualsivoglia ipotesi di recupero di produttività. Oggi, torna alla carica: l’alta velocità italiana costa troppo, il triplo o il quadruplo di quella francese e spagnola. I motivi? Secondo Moretti, i diktat degli enti locali, che imporrebbero alle Ferrovie costosi ed inutili interventi di “mitigazione ambientale” (l’evoluzione della specie, dopo la celeberrima “dazione ambientale” di Tangentopoli?), che spaziano dal campo di calcio regalato alla parrocchia, alle biblioteche e a nuovi sovrappassi con pendenza ridotta contro le gelate invernali, in quella che sembra una nuova gioiosa sindrome che colpisce gli enti locali. Non più Nimby (Not In My Backyard), bensì Rimby (Right In My Backyard), visto quanto appare desiderabile e profittevole per i comuni ogni intervento delle ferrovie nei propri dintorni. Probabilmente, a Moretti non sfugge che, tra i maggiori beneficiati di queste colate di cemento vi sono certamente anche le cooperative rosse. E’ quindi auspicabile che questa tardiva resipiscenza in nome della quadratura dei conti aziendali non guardi in faccia proprio nessuno, dopo che gli ultimi cinque anni sono stati spesi a demonizzare la Rocksoil di Pietro Lunardi quale causa di tutti i mali delle ferrovie italiane, dimenticando che le concessioni della Tav erano state assegnate nel lontano 1991 indovinate da chi?, dal defunto Necci.
Ora il governo Prodi ha revocato le concessioni in essere sull’Alta Velocità nei tratti Milano-Padova e Milano-Genova, a causa dell’esplosione dei costi, decidendo di passare dalla formula del general contractor alle gare pubbliche. Vedremo chi saranno i vincitori e se e come vi saranno risparmi, anche se dubitare è lecito. Avremo gare pubbliche vinte da soggetti che offrono prezzi stracciati e senza penali in caso di revisione al rialzo dei costi in corso d’opera (un antico sport italiano), magari per rimettere alla grande in pista (o meglio sul binario) le coop? Il tutto sub iudice dell’Unione Europea, a cui i contractor defenestrati si sono prontamente rivolti. Sarà l’ennesima occasione per celebrare sul palcoscenico europeo l’incertezza del diritto di cui il nostro paese è culla.
Dal moralizzatore Moretti ci attendiamo comunque, per quanto è in suo potere (e non è poco), robusti passi avanti verso la modernizzazione tecnologica delle Ferrovie, incluso l’abbandono del sistema, tanto caro ai sindacati, del doppio macchinista. Un’anomalia tutta italiana, come di recente sottolineato anche dal maggior azionista delle Ferrovie, il ministro del Tesoro Padoa Schioppa.