“In Egitto i democratici esistono e sono i migliori di tutti”

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“In Egitto i democratici esistono e sono i migliori di tutti”

04 Febbraio 2011

Come è noto, il Professor Bernard Lewis è il decano degli storici del Medio Oriente. Molti tra noi ritengono che conoscere i suoi libri, i suoi articoli, le sue idee, sia indispensabile per una comprensione delle questioni mediorientali. La National Review si ritiene molto fortunata a poterlo annoverare tra i suoi amici. È stato tra l’altro una star delle nostre crociere (compresa quella del novembre scorso).

Ho appena finito di parlare con il Professor Lewis al telefono. Si trova in Medio Oriente, una regione in cui attualmente a destare maggiore preoccupazione è l’Egitto. Io sono a New York, una città in cui la massima fonte di agitazione è l’eventualità di una nevicata.

Lewis come prima cosa dice che “è troppo presto per esprimere un giudizio definitivo”- un giudizio definitivo sulla situazione in Egitto. È troppo intelligente e ha troppa esperienza per sbilanciarsi eccessivamente mentre gli eventi sono ancora in corso. “Le cose sembrano andare un po’ meglio di quanto andassero qualche giorno fa – dice –  ma potrebbero andare anche molto peggio”.

“Le alternative più immediate non sono molto attraenti.” Quali sono? “La continuazione, in qualche altra forma, dell’attuale regime, o la presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani. Ovviamente, la prima opzione è la migliore”.

Stiamo assistendo ad una rivolta democratica? “In questo contesto non so cosa potrebbe significare ‘democratico’. Sicuramente si tratta di una rivolta popolare.” Gli egiziani stanno patendo contemporaneamente la mancanza di libertà e la necessità di beni materiali essenziali. (Spesso le due cose vanno insieme.) “La situazione economica in Egitto è davvero drammatica. Un’ampia percentuale della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà”.

Ecco poi un aspetto da non trascurare: “Il fatto che questo regime”, il regime di Mubarak, “abbia buone relazioni con gli Stati Uniti e Israele, sembra avere come unico effetto di screditare l’idea che si possano avere buone relazioni con gli Stati Uniti e Israele."

Ed ecco la domanda del momento: l’Egitto del 2011 è come l’Iran del 1979? Lewis: “Sì, ci sono alcune somiglianze. Spero però che non ripeteremo gli stessi errori.” La presidenza Carter gestì gli eventi in Iran “miseramente”.

L’Amministrazione Obama dovrebbe ragionare, come dovremmo tutti, così: “Ad oggi, in gran parte del Medio Oriente, la comune percezione è che gli Stati Uniti siano amici inaffidabili e nemici disarmati. Credo che vogliamo dare l’impressione opposta”: amici affidabili e nemici pericolosi. “Questa è la maniera in cui bisogna riuscire a farsi percepire”.

Le rivolte sono contagiose, e infatti lo sono state. La Tunisia ha fatto precipitare la situazione in Egitto. “Un paese caccia il suo tiranno, e tutti gli altri sono immediatamente incoraggiati a fare lo stesso”. Chiedo se anche i giordani si rivolteranno. Lewis mi risponde: “dipende da cosa accadrà in Egitto”. Osserva che “molti dei sedicenti amici della regione sono cleptocrazie inefficienti. Ma sono molto meglio degli islamici radicali.” I democratici, in ogni caso, sono i migliori di tutti: “e i democratici esistono”.

Traduzione di Carolina de Stefano

Tratto da National Review