In Egitto i militari non sembrano un faro della democrazia
09 Maggio 2011
Diciotto giorni di proteste hanno messo fine, l’11 febbraio, al trentennale regime di Mubarak, che ha incaricato un governo militare di prendere il suo posto. “Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l’Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari del paese. Che Dio ci aiuti”, ha detto il vicepresidente Suleiman dando l’annuncio.
Successivamente il Consiglio delle forze armate, presieduto dal Ministro della Difesa Mohamed Hussein Tantawi, vicino all’ex raìs, ha emesso un nuovo comunicato promettendo “un’elezione libera e trasparente” a settembre. E’ consapevole, ha dichiarato il Consiglio, della gravità e della pericolosità della situazione e ha garantito di essere al lavoro “per realizzare le ispirazioni del popolo”. Dichiarazione però molto vaga. Cosa significa in concreto? Lo scenario non promette nulla di buono. Prima di tutto per la repressione dei manifestanti della “piazza della libertà”, Tahrir Square.
Diverse donne hanno denunciato ad Amnesty International di essere state apostrofate come “prostitute”, “invitate” a “tornarsene a casa”, palpeggiate, arrestate, picchiate, torturate con tubi di gomma e scariche elettriche e sottoposte a “test di verginità”, degni dei più misogini fanatici islamici. Se a detta dei militari, risultavano “non vergini”, incorrevano in nuove torture, violenze sessuali e nell’incriminazione per prostituzione. Questo per aver chiesto diritti l’8-9 marzo, per la Giornata Internazionale della Donna.
Inoltre l’esercito ora al potere ha siglato un accordo con coloro che, formalmente, erano nemici: l’organizzazione integralista dei Fratelli Musulmani. Gli stessi che hanno vinto con il 77% dei “sì” al recente referendum sulle modifiche alla Costituzione, paradossalmente volute anche dai membri del Partito Nazionale Democratico (PND) dell’ex Presidente Mubarak, l’istituzione politica più organizzata, assieme ai Fratelli. Questi ultimi sostengono di non aspirare alla maggioranza in Parlamento, ma “soltanto” al mantenimento dell’art. 2, che stabilisce la prevalenza della shar’ia, la legge islamica, su ogni altra in Egitto.
Una donna, un cristiano copto, un egiziano con doppia nazionalità (come il Presidente della Lega Araba Amr Mussa e Mohamed Al-Baradei, Premio Nobel per la Pace 2005, addirittura preso a sassate fuori dai seggi), non potranno sperare di essere eletti presidente della Repubblica egiziana e vengono di fatto estromessi dalla vita politica del Paese. Padre Rafic Greiche, capo ufficio stampa della Chiesa cattolica egiziana e portavoce delle sette denominazioni cattoliche, fa presente ad AsiaNews, che molti musulmani stanno emigrando per paura dei fondamentalisti.
Non va certo meglio per la minoranza cristiana, negli anni sempre più perseguitata e ancora di più nel “dopo Mubarak”. Da mesi infatti, leader musulmani radicali lanciano ogni giorno messaggi di propaganda contro di essa, monopolizzando letteralmente canali televisivi, giornali e internet. “I leader islamici – afferma Greiche –m definiscono i cristiani infedeli che non hanno diritto ad avere una rappresentanza parlamentare. Chi desidera la democrazia ha paura di questo clima di terrorismo psicologico e fugge dal Paese”. In vista delle elezioni, i Fratelli Musulmani hanno fondato quattro partiti politici.
Oggi, l’unica alternativa laica sono i giovani di piazza Tharir, che dopo la rivoluzione, si sono divisi in 16 gruppi e ora stanno tentando di organizzarsi in entità politiche. Tuttavia il sacerdote fa notare che molti di loro sono tuttora affiliati ai Fratelli Musulmani e potrebbero essere influenzati dai vecchi leader. A suo parere “ci vorrà almeno un anno per comprendere gli effetti della rivoluzione, siano essi positivi o negativi”. Una fonte anonima per motivi di sicurezza, afferma che i militari che hanno preso in mano la situazione “stanno cercando di mantenere stabilità, bilanciando le differenze presenti fra i movimenti e le derive ideologiche”, ma alleandosi con il gruppo radicale, non sarà certo facile. Anzi, tutto ciò porta con sé il concreto rischio di far accrescere ulteriormente l’influenza degli estremisti, compresi i salafiti, ancora più crudeli dei Fratelli. Nuovo regime dunque, tuttavia vecchia smania dei leader di mantenere il proprio potere, a discapito di una reale democrazia che va al di là di formali elezioni.