In Egitto per troppo tempo abbiamo scambiato la repressione per ‘stabilità’
07 Febbraio 2011
Ieri il vicepresidente egiziano Suleiman ha accettato il documento delle opposizioni che prevede nuove elezioni, la riforma della legge elettorale e di alcuni articoli della Costituzione, il processo a politici e funzionari corrotti e che hanno provocato i morti delle settimane scorse. Suona ancora meglio la decisione di revocare lo stato d’emergenza e garantire la libertà di espressione. Ma il diavolo nasconde la sua coda nei dettagli. Suleiman ha incontrato i rappresentanti dell’opposizione in una sala dove troneggiava il ritratto del presidente Mubarak.
Suleiman si è imposto come l’uomo della stabilità, non solo politica ma anche economica. Prima muovendosi con discrezione fra Hamas e l’ANP, ora nella successione a Mubarak. Le forze democratiche e secolari, i partiti liberali e socialisti, le minoranze religiose come quella copta, i giovani e le donne, gli uomini d’affari (all’incontro era presente il potente tycoon Naguib Sawiris) dovrebbero rafforzare l’accordo con i militari se vogliono competere ad armi pari con i Fratelli Musulmani. La confraternita islamica lascia che sia El Baradei a incalzare l’amministrazione americana: il presidente Obama deve scaricare non solo Mubarak ma anche Suleiman. El Baradei ha sdoganato gli islamisti definendoli dei “conservatori”, sostenuto dalle forze socialiste in Europa, ma l’ex capo negoziatore dell’Aiea rischia di fare la fine degli "utili idioti" offrendo ai religiosi la maggioranza in parlamento. I militari cercano di impedire questa ipotesi.
In Egitto le forze armate sono anche una potenza economica. Fanno investimenti nelle infrastrutture, nei beni di consumo, nell’industria del turismo. Hanno costruito strade che uniscono il Cairo alle esclusive località sul Mar Rosso, osteggiando le privatizzazioni perché temono la concorrenza, le multinazionali straniere, il mercato. Non si conosce il preciso numero degli effettivi, se 400 o 500mila uomini – l’esercito più imponente del continente africano, al top nel mondo arabo, il più pericoloso rivale per Israele se gli accordi di Camp David un giorno dovessero saltare, magari per colpa della Fratellanza.
Non tutti i generali hanno la tempra di Suleiman, sia chiaro. Il feldmaresciallo Tantawi, ministro della difesa volato a Washington nei primi giorni della crisi, è malvisto dagli ufficiali perché considerato un burocrate troppo vicino a Mubarak. Più in generale, l’esercito egiziano ha perso parte del vecchio smalto tra scandali e corruzione, con un apparato sempre più pachidermico (tanto da estendersi nell’amministrazione civile). La divisa ha smesso di rappresentare "il" sogno dei giovani provenienti dalle elite e dalle classi benestanti. Questa perdita di status non toglie nulla al potere e all’influenza dei militari.
L’equazione esercito uguale stabilità non è un mantra incontrovertibile. Come ha scritto Anne Applebaum, “ai politici piace la stabilità. Ai banchieri piace la stabilità. Ma il tipo di ‘stabilità’ che per troppo tempo l’America ha abbracciato nel mondo arabo non è davvero qualcosa di stabile. E’ stata una repressione”. La promozione della democrazia deve passare nel sostegno alla stampa, ai giudici, agli educatori; nel finanziare i media e le radio indipendenti, nell’incoraggiare un libero dibattito tra le forze politiche. Fu in questo modo che il presidente Reagan riuscì a mettere in crisi il blocco comunista, penetrando nei cuori delle popolazioni dell’Europa Orientale.
E’ vero, a Gaza la democrazia non ha funzionato. Corre gravi rischi in Libano. E l’Iraq ha appena iniziato a sperimentarla. Hamas, l’Hezbollah, i partiti religiosi del mondo arabo e musulmano hanno preso il potere con il voto. Potrebbe ripetersi in Egitto con i Fratelli Musulmani. Ma non si può rinunciare alla democrazia perché si teme che possa condurre a nuove dittature. Ecco perché lo ‘spettacolo democratico’ offerto da Suleiman ha il sapore, un po’ gattopardesco, della conservazione. Certo non aiuta l’immagine dei poliziotti antisommossa armati con manganelli e scudi di fabbricazione occidentale che si fanno strada tra la folla. Un favore fatto alla fratellanza e a tutti quelli che, in Egitto, Algeria o Tunisia, attaccano l’America e Israele.