In Egitto piazza e palazzo cercano un lento ritorno alla calma

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In Egitto piazza e palazzo cercano un lento ritorno alla calma

15 Febbraio 2011

Al Cairo le negoziazioni tra la “piazza” e il “palazzo” sono ancora in corso. Di ieri le due mosse con cui Tantawi, presidente del Supremo Consiglio Militare, l’organismo che di fatto guida l’Egitto, ha tentato di calmare le folle: la sospensione della Costituzione e lo scioglimento del Parlamento. Inutile perdersi in analisi a lungo raggio sull’Egitto. Non ci resta che attendere e monitorare.

Però conviene capire quale siano, in particolare, le implicazioni che la sospensione della Carta costituzionale egiziana porta in dote. Prima di tutto con essa è stata apposta la parola fine sull’applicazione delle “leggi di emergenza”, ovvero quelle previsioni legislative in vigore dall’ottobre 1981, le quali furono varate a seguito dell’assassinio del presidente Sadat, predecessore di Hosni Mubarak.

Quest’ultimo le ha mantenute in vigore per tutto il suo regno, durato, come noto, oltre trent’anni. La legislazione emergenziale concedeva alle autorità egiziane la possibilità di arrestare persone senza notificare loro i capi d’accusa, né fornire assistenza legale e neppure informare i parenti dell’avvenuto arresto. Inoltre prevedevano la possibilità di prolungare la detenzione di persone ritenute pericolose dalle forze di sicurezza. Uno strumento potentissimo, insomma.

Appare oggi evidente che la giunta militare egiziana, la quale è chiamata a traghettare il paese mediterraneo verso elezioni libere e competitive (precondizione per l’instaurazione di un governo civile democratico), sia alle prese con una dura negoziazione con la piazza dei dimostranti e con tutti partiti che da due settimane controllano le contestazioni.

Ma la giunta militare ha comunque due obiettivi di breve, se non brevissimo periodo: restaurare l‘ordine e far ripartire l’economia. Infatti l’Egitto è di fatto sull’orlo del collasso economico. Un milione e trecento mila turisti hanno abbandonato il paese dall’inizio delle contestazioni; le tasse di transito nel Canale di Suez, che fa entrare nelle casse pubbliche egiziane circa 3 miliardi di euro all’anno, sono in caduta libera.

Non solo, ma i militari sono anche alle prese con l’urgenza sicurezza su pezzi significativi del territorio nazionale come il Sinai dove le milizie beduine hanno di fatto assunto il controllo di significative porzioni di territorio. Se si può, nel bel mezzo di questo marasma politico e militare, c’è anche quel conflitto di interessi che aleggia sui militari quando si parla di economia egiziana.

E’ bene ricordare infatti che direttamente e indirettamente le forze armate controllano all’incirca un terzo dell’economia reale in Egitto. Se l’ondata di piazza ha forse portato in dote novità politiche insomma, di certo non la sommossa non ha fatto arricchire i graduati.

Non ci resta che attendere. Quello che sappiamo è che il braccio di ferro tra la giunta militare e il movimento di protesta andrà avanti ancora per giorni. Per stare ai fatti sappiamo solo che un dittatore morente si è dimesso, Hosni Mubarak; che suo figlio non sarà il suo successore, Gamal Mubarak; che i militari che guidano il supremo consiglio militare hanno un presidente, Tantawi. Che costituzione e parlamento non esistono più. E in ultima analisi che il movimento di protesta non ha ancora una leadership chiara e un programma definito. Il resto, purtroppo, è solo aria fritta.