In Europa mezzo milione di donne infibulate (ma non ditelo ai giornaloni)
18 Giugno 2017
“Quando tornavo a casa avevo dei dolori alla pancia”, è quello che è riuscita a biascicare una ragazzina rimasta nell’anonimato, mentre un’altra, con estremo disagio, ha ricordato il dolore, il momento in cui veniva incisa, le difficoltà nel camminare, il sangue sul lenzuolo. Al centro dell’ennesima storia di dolore e schiavitù targata islam ci sono camici bianchi che non curano, ma che sono, piuttosto, l’aggravante di una atroce barbarie ai danni di bambine: la mutilazione genitale femminile.
Qualche settimana fa, la Camera dei rappresentati del Minnesota e il Senato del Michigan hanno approvato una legge che renderà possible estendere, anche a questi Stati, le leggi anti-MGF ai genitori delle bambine papabili per la tortura. Legge che arriva sulla scia di un caso recente. Era aprile, quando la stampa internazionale ha raccontato la vicenda in cui è implicata Jumana Nagarwala, dottoressa al pronto soccorso in servizio presso un ambulatorio di Detroit, Michigan, arrestata con l’accusa di aver praticato per dodici anni, illegalmente, mutilazioni genitali su bambine tra i sei e gli otto anni. La donna ed altri due medici coinvolti sono in stato di arresto e rischiano il carcere a vita.
Ad accendere i riflettori sul caso drammatico e misterioso, taciuto per così tanto tempo, una segnalazione anonima. Sullo sfondo un sobborgo di Detroit ribattezzato “Little Palestine”, per via della massiccia presenza araba. Ma le vittime non erano solo del Michigan. Accompagnate dagli stessi genitori, le bambine e ragazzine venivano consegnate ai dottori convinte di doversi sottoporre a visite di routine, per poi scoprire di dover essere subire l’infame tortura. “Libertà religiosa“, è così che intende liquidare la storia la difesa dei tre imputati membri del Dawoodi Bohra, una setta islamica indiana. Con buona pace di chi è convinto che l’odiosa pratica non c’entri con l’islam. E’ la prima volta che lo stato federale del Michigan si vede costretto ad affrontare un caso del genere in cui ad essere coinvolti sono dei medici. E la cosa, peraltro, non sembra turbare troppo i legali degli imputati che con estrema naturalezza difendono la pratica perché si tratta di un “rituale religioso”, e quindi dovrebbe essere tutelato dalla legge degli Stati Uniti.
Rituale religioso il cui altare è un letto d’ospedale? Le MGF consistono nella rimozione e nel danneggiamento dei tessuti genitali femminili, sani, per rendere le bambine immuni al desiderio sessuale. Barbarie effettuata per lo più tra l’infanzia e l’adolescenza, e che persino quelli dell’Oms giudicano come malvagia, che non dà alcun beneficio alla salute, ma interferisce soltanto nella normale esistenza di donne e ragazzine. Ad oggi più di 3 milioni di bambine, ogni anno, sono giudicate a rischio MGF.
E se fino a poco fa si trattava di un fenomeno che coinvolgeva prevalentemente i Paesi islamici africani, asiatici e del Medio Oriente, oggi, il cospicuo afflusso di immigrati e rifugiati ha fatto sì che il fenomeno rendesse visibile la sua presenza drammatica e pericolosa persino in Occidente. Soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Secondo il National Health Service, almeno una ragazza ogni ora è sottoposta alla mutilazione solo nel Regno Unito. Un rapporto della Commissione europea ha rivelato che sono circa 500.000 le donne in Europa ad aver subito la MGF, il numero di quante sono considerate a rischio è, invece, incalcolabile.
In Germania, per esempio, nel 2013 è stato aperto un ambulatorio utile a fornire assistenza fisica e psicologica alle vittime della pratica. Più o meno sono 50.000 le donne tedesche che l’hanno subita, circa 20.000 solo a Berlino. Numeri e storie che rendono superflua ogni sorta di aggettivazione, mentre ogni tentativo di difendere queste bambine dai genitori praticanti islamici viene vanificato dall’ombra dell’ideologia multikulti. La verità è infatti nascosta proprio dall’inchiostro che gocciola dai pulpiti dei giornaloni come il New York Times, per esempio, che ha scelto di smettere di usare l’espressione “mutilazione genitale femminile” perché “culturalmente tendenziosa”. Comodo espediente per difendere un crimine non meno spaventoso dello stupro e della schiavitù infilandolo nella crociata contro l’islamofobia.