In Europa si parla solo di burka ma il ritratto dell’immigrato è un giovane maschio musulmano

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In Europa si parla solo di burka ma il ritratto dell’immigrato è un giovane maschio musulmano

05 Gennaio 2017

Il 2016 è stato senza dubbio un altro anno contraddistinto dal terrorismo islamico e dai fenomeni della immigrazione fuori controllo. E mentre il primo trovava comodi canali in cui muoversi, in Europa e verso il Vecchio Continente, anche grazie alle maglie lasche della seconda, la leadership politica del cosiddetto mondo libero ha continuato imperterrita con le solite polemiche di rito. Come in Francia, dove per mesi, incessantemente, si sono spese moltissime energie nei dibattiti a proposito dell’ormai celebre burkini – il burqa attillato che funge da costume da bagno, con tanto di divieto imposto dai sindaci e difeso dal premier Valls.

Lo stesso è accaduto nei Paesi Bassi quando nel mese di novembre si è discusso sul divieto o meno del burqa nei luoghi pubblici, fino al voto che ha vietato di indossarlo. Anche per il primo ministro Mark Rutte è stato un comodo escamotage per ridurre la pressione sul suo esecutivo e cercare di fronteggiare un Geert Wilders sempre più in vantaggio nei sondaggi. La stessa strategia, che a dire il vero, sembra un po’ cinica, l’ha adottata Angela Merkel. Disperata per la fuga dei consensi e alle prese con una islamizzazione feroce nella sua Germania, a dicembre la cancelliera ha annunciato l’intenzione di vietare il burqa a casa sua. Illusa pure la Merkel dalla possibilità di arginare il partito di opposizione AFD.

Insomma, in Europa si parla moltissimo di burka e burkini. Ma come mostrano i dati sugli ingressi, gli immigrati che stanno arrivando nei Paesi della Ue sono in grandissima parte giovani, maschi e islamici (un altro due per cento in più in Germania nel 2016). Insomma, la pur sacrosanta battaglia contro il burka nei luoghi pubblici, contro un simbolo di subordinazione della donna a una società patriarcale, rischia di trasformarsi in un’arma di distrazione di massa, grazie alla quale i governanti europei cercano di sfuggire ad altre domande. Per esempio come mai immigrazione non fa più rima con integrazione, o quanti “foreign fighters” ci sono precisamente tra chi attraversa il Mediterraneo, arrivando dalla Libia o dalla Turchia. 

Rispondere a certe domande, del resto, sarebbe come darsi la proverbiale zappa sui piedi, vorrebbe dire nient’altro che ammettere i propri fallimenti. Per cui, se serve, buttiamola pure sull’esotico, svuotando di senso una delle grandi battaglie contro la islamizzazione della società europea, quella sul burka. In realtà i problemi sono più gravi di come vengono rappresentati. E questa mossa forse non darà i risultati sperati nelle urne.