In Europa siamo tutti d’accordo ma c’è qualcuno che è più d’accordo degli altri
14 Dicembre 2012
Negli ultimi anni è circolata una storia, che l’Europa non parlava con una voce sola, che se parlava si esprimeva in (franco)tedesco, che l’unità politica del Vecchio Continente era illusoria non avendo gli europei alle spalle l’epopea americana ma la tragedia della Seconda Guerra mondiale.
Si è dato un grande importanza a personaggi spesso bizzarri, minoritari, che predicavano contro i mali dell’universalismo europeista per rinchiudersi nel bigottismo particolarista. I maligni dicevano che quando si voleva fare uno sgarbo a qualcuno, o si voleva accontentarlo, non gli si negava la poltrona di europarlamentare.
Quello che è avvenuto due giorni fa, i pezzi da novanta del PPE riunti intorno a un tavolo per accogliere Monti e sfiduciare Silvio Berlusconi (il premier olandese Rutte lo ha detto chiaramente) dimostra che la verità è un’altra. L’Europa ha raggiunto un livello di integrazione politica che è molto più elevato rispetto a quanto si pensa comunemente, lo ha scritto bene Antonio Polito sul Corriere di ieri.
Non è vero che la Ue non abbia una unione politica, semmai la questione parebbe rovesciata. Gli europeisti si sono convinti che, pur di preservare la stabilità continentale, sia giusto intervenire nella vita nazionale (ed elettorale) dei Paesi membri. Gli antieuropeisti continuano a tuonare contro le superburocrazie dell’Unione annunciando la ribellione dei popoli liberi e fratelli.
La verità sta al solito nel mezzo. L’unità d’intenti manifestata dal Partito Popolare sul "caso italiano" nasconde una divisione più profonda, che non attiene tanto alla rivalità tra singoli Stati quanto alla presenza di diverse "Europe" in competizione tra loro. Quella del rigore baltico che paternalisticamente vuol rimediare ai danni della scapestrata Europa mediterranea è un buon esempio.