In Francia si fa la bella politica in Italia la si sta a guardare
22 Aprile 2007
E’ quasi
spasmodica l’attenzione che la classe politica e i media italiani stanno
dedicando alle elezioni presidenziali francesi. Da mesi lo scontro tra Ségolène
Royal e Nicolas Sarkozy, con i vari annessi e connessi, sembra
appassionare come fosse nel cortile di casa. Ognuno si è fatto la sua idea, ha
il candidato del cuore ed elargisce suggerimenti sulla corsa all’Eliseo, come
non farebbe neppure per la squadra del cuore.
L’Italia
in stallo politico e con orizzonti di rinnovamento lontani, guarda alla Francia
come sorgente di vaticini per il proprio futuro, assieme a molta nostalgia e un
po’ di invidia per quella “bella politica” che qui si racconta nei teatri e lì
si fa nella carne e nel sangue del paese.
Ad un
giorno dal voto per il primo turno è inutile fare previsioni: i francesi amano
tradire i sondaggi. Non perché siano indecisi od ondivaghi ma perché aspettano
di avere a disposizione il quadro completo delle opzioni prima di scegliere.
Oltre un terzo degli elettori d’oltralpe risponde ancora oggi “non so” ai
sondaggisti, non perché distratto o disinteressato ma perché impegnato fino
all’ultimo ad elaborare la propria scelta.
La
politica italiana invece le sue scelte le ha fatte da un pezzo e sono molto
rivelatrici di quello che i vari schieramenti rappresentano e si augurano per
il futuro.
Il
centro-sinistra che si avvia allo scioglimento di Ds e Margherita per fondere i
due ingredienti nell’impasto del partito democratico è emblematicamente diviso.
I diessini tifano per la Royal vedendo in lei un esempio possibile di
rinnovamento della tradizione socialista senza il completo abbandono del
marchio di fabbrica. Essere “nuovi” ed essere “di sinistra” come sembra
riuscire a Ségolène è il sogno proibito di molti leader dell’ormai disciolto
partito dei Ds. Anzi, proprio sulla sorte elettorale di Ségolène, agli occhi
dei “socialisti” italiani, ma non solo, si gioca il futuro dell’ideale
socialista. Un filone esangue ormai dalla scomparsa di Mitterrand, che
subirebbe un colpo di grazia nella sventurata ipotesi di una seconda volta
(dopo il 2002) senza un candidato socialista al secondo turno.
All’opposto,
Rutelli e i suoi vedono in François Bayrou la dimostrazione che per essere
“nuovi” bisogna rimescolare e scavalcare le vecchie tradizioni, ammainare
gloriose bandiere e mettersi su di un cammino tutto da inventare. Il dissidio
Royal-Bayrou è dunque solo un altro modo per visualizzare lo scontro in atto
nel costituendo Partito Democratico sulla sua futura collocazione
internazionale, che Fassino vorrebbe nel Pse e Rutelli non si sa bene dove.
Anche
nel centro-destra l’attenzione verso le elezioni francesi è molto alta. Qui il
voto per Sarkò è pressoché unanime e i think-tank di area gli dedicano convegni
e pubblicazioni, mentre intellettuali e giornalisti “moderati” producono
ritratti e biografie a getto continuo.
La
spiegazione è semplice. La vittoria di Sarkozy in Francia, messa in asse con
quella di Angela Merkel in Germania e, magari in prospettiva, anche con
quella di David Cameron in Gran Bretagna, darebbe al centro-destra italiano un
palcoscenico europeo del tutto diverso da quello di cui disponeva quando era al
governo.
Berlusconi
dovette sudarsi la sua legittimazione europea con laburista come Blair, un
socialista come Schroeder e un franco-francese anti-atlantico come Chirac.
Certo c’era Aznar, ma non nel cuore dell’Europa che conta.
Sarkozy
all’Eliseo sarebbe in poche parole la fine dell’anomalia italiana incarnata da
Berlusconi e l’avvio di una nuova fase di piena cittadinanza europea per il
centro-destra. Tutto sta nel coglierla.