In Francia vince il bipolarismo
18 Giugno 2007
di redazione
Domenica 17 giugno, giorno del secondo turno delle elezioni legislative, si è chiuso il lungo periodo elettorale francese, apertosi ad aprile con i due turni delle elezioni presidenziali. Alla fine, non vi è stata la valanga di deputati di centro-destra che tutti si aspettavano. L’UMP (e alleati) ha ottenuto 323 seggi, 35 in meno del 2002 e Alain Juppé, ministro dell’Ecologia e numero due del governo, è stato battuto; tuttavia, l’UMP mantiene la maggioranza assoluta dei 577 seggi dell’Assemblea nazionale e succede a se stessa, cosa che non accadeva da tre decenni. Il governo di Fillon può contare anche sull’apporto del Nuovo centro del ministro della Difesa Hervé Morin, che raggiunge i 22 deputati (20 è il numero minimo per formare un gruppo indipendente all’Assemblea). Il fatto che il raggiungimento di tale numero sia stato possibile grazie agli accordi elettorali con l’UMP fa capire quanto scarsa sarà l’autonomia dei centristi allineati a Sarkozy. Il loro compito principale sarà quello di contendere l’eredità ideale dell’UDF a François Bayrou e di impedirgli di fare danni.
Il Movimento democratico di quest’ultimo (MoDem), d’altronde, non va molto lontano: ottiene solo 4 deputati, un risultato estremamente modesto per un candidato che al primo turno delle presidenziali aveva ottenuto il 18%; farà fatica a trovare visibilità in futuro. A sinistra invece ieri sera giustamente si festeggiava. Il Partito socialista, infatti, ha ottenuto un risultato insperato dopo il primo turno conquistando 205 seggi, 56 in più di cinque anni fa; in percentuale di voti, il PS e gli apparentati arrivano al 46%, ben più alto del risultato di cinque anni fa quando i socialisti ottennero il 35,26% (a cui bisogna sommare circa il 3,5% del Partito radicale di sinistra e di altri alleati). Si tratta ora di capire in che modo questo risultato influirà sul rinnovamento del PS e sulla sua strategia politica dei prossimi anni; in particolare, analisi più dettagliate nei prossimi giorni permetteranno di capire quanto nelle singole circoscrizioni hanno influito sulla vittoria gli elettori centristi.
Le urne non fanno che confermare dunque la tendenza di fondo del sistema politico francese: la preminenza delle elezioni presidenziali. In primo luogo, è da notare la forte bipolarizzazione che l’elezione presidenziale opera anche sulle legislative (che il sistema maggioritario a due turni amplifica ma non produce autonomamente): UMP e PS, i partiti dei due candidati del secondo turno delle presidenziali, si affermano come i catalizzatori dei voti dei due schieramenti e insieme raccolgono quasi il 93% dei voti, un risultato mai raggiunto prima dai primi due partiti. Tale tendenza, che cinque anni fa si era notata soprattutto a destra, nel 2007 ha dato i suoi frutti anche a sinistra. I piccoli partiti ottengono tutti risultati inferiori al 4%; essi si suddividono in tre categorie che dimostrano il dominio assoluto dei due grandi: potranno avere un gruppo autonomo all’Assemblea grazie agli accordi con il “fratello maggiore”, come i centristi di Morin; non raggiungono i 20 deputati e avranno bisogno di allearsi tra di loro, come comunisti e verdi (che hanno ottenuto rispettivamente 18 e 4 deputati); sono destinati all’invisibilità politica nell’Assemblea, come il MoDem. Vi sono infine quelli che non sono neanche entrati a Palais Bourbon, come il Fronte nazionale di Le Pen, che ancora una volta non ottiene alcun seggio (Marine Le Pen, unica candidata frontista al secondo turno, ha però riportato un risultato rilevante nella sua circoscrizione poiché è arrivata al 41% contro il 32% del 2002).
Soprattutto, l’alto tasso di astensione (circa il 40%), nonostante la sinistra avesse chiamato gli elettori a mobilitarsi, dimostra come la consultazione elettorale veramente sentita dai cittadini francesi sia quella presidenziale, alla quale partecipano in media ben più numerosi. Dopo la vittoria di un candidato alle presidenziali si ha sempre il sentimento che “les jeux sont faits”. Il primo ministro Fillon, come da tradizione, ha rimesso il proprio mandato nelle mani di Sarkozy a sottolineare la preminenza della scelta dell’esecutivo da parte del presidente. La coincidenza tra presidenziali e legislative e la posposizione di queste ultime alle prime rafforzano la presidenzializzazione del sistema francese. Tale tendenza è accentuata dalla figura stessa di Sarkozy, che vuole essere un presidente che governa e che concepisce la maggioranza all’Assemblea come il sostegno dell’organo legislativo al proprio programma. Non a caso, sabato “Le Figaro”, giornale sarkoziano, designava il secondo turno delle legislative come “l’ultima tappa prima delle riforme”. Adesso Sarkozy dispone della sua maggioranza, la “maggioranza per agire” come l’ha chiamata Fillon, e ha già preparato per le prossime settimane il calendario fittissimo delle riforme che egli intende portare avanti (dalla politica sociale al “pacchetto fiscale”, dall’università a riforme del codice penale) lasciando ben poco spazio ad iniziative autonome dell’Assemblea.