In Germania non vai da nessuna parte senza il benestare di Habermas

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In Germania non vai da nessuna parte senza il benestare di Habermas

28 Giugno 2009

Non stupisca troppo il forte titolo usato la scorsa settimana da “Die Zeit” per celebrare gli ottent’anni di Jürgen Habermas: “la potenza mondiale Habermas”. Potenza del pensiero? Non proprio. Il filosofo ha costruito la propria fortuna  sull’agire comunicativo, che è un modo nobile per definire la fabbrica del consenso. La censura ottenuta per vie legali di una frase riguardante, forse, il suo passato, scritta dal compianto Joachim Fest nella sua autobiografia Io no (Garzanti 2007), ha dimostrato drammaticamente alcuni anni fa di quale potere e capacità d’influenza goda Habermas. E non da oggi.

Già al tempo delle dispute storiche del 1986-87, quando ci fu l’aggressione di trombe e tromboni “sinistri” contro i “revisionisti” Nolte, Stuermer, Hillgruber e Hildebrandt, sprezzantemente bollati da Habermas come “la banda dei quattro”, lo stesso Ernst Nolte ebbe modo di scrivere, a proposito del filosofo: “Lo stesso uomo che nella teoria è un propugnatore della discussione ‘libera dal dominio’, nella pratica sa usare con energia e fortuna le posizioni di potere formali e informali che occupa all’interno di istituzioni e presso case editrici per esercitare un ufficio censorio molto particolare.”

In realtà, nel suo ruolo di guida di quella presunta “generazione di intellettuali scomodi”, Habermas, oltre che contro Nolte e gli altri storici tedeschi, si rese protagonista negli stessi anni di una vera e propria guerra di diffamazione ideologica contro i francesi Jacques Derrida (al quale chiese successivamente scusa) e Jean-Francois Lyotard, da lui considerati i Nolte della filosofia, ideologi di destra da combattere con il pugnale in mano. Il metodo di lotta della sinistra marxista in cerca di un nemico da sacrificare all’altare dell’ideologia fu lo stesso: la diffamazione indipendentemente dal loro reale pensiero.

Come dimenticare le responsabilità di Habermas rispetto al regime totalitario della DDR, quando, sempre in virtù del ruolo di “guida intellettuale”, non ebbe dubbi nell’indicare nella Germania Orientale (patria, anche, di nazisti cooptati e integrati per il bene dello Stato Socialista) il modello per la sinistra occidentale?

Se si va a rileggere il “colloquio” avvenuto a Monaco di Baviera nel gennaio 2004 tra Habermas e l’allora cardinale Josef Ratzinger (Ragione e fede in dialogo, Marsilio 2005), è difficile intendere fino in fondo i passaggi del filosofo. Due punti risultano in quel testo molto chiari: 1. lo Stato liberale è autosufficiente e indipendente dalla tradizioni religiose e dalle convinzioni prepolitiche e morali di cui sono fatte le comunità che vivono al suo interno; infatti lo Stato si nutre di argomentazioni indipendenti da esse. 2. la cultura laico-repubblicana deve produrre sforzi maggiori per tradurre in forme di vita gli astratti esempi costituzionali (potenza della ragione astratta che vuole modellare la realtà).

Su queste fondamenta, del resto, Habermas aveva indicato a suo tempo il proprio modello di Germania riunificata: in virtù di ciò che accadde con il Terzo Reich i tedeschi hanno perso una volta per tutte il diritto ad “una forma convenzionale della loro identità nazionale”; ciò che resta loro è la sola facoltà di costruire su “principi costituzionali universalistici”. Non a caso, da più parti, quella sua posizione è stata letta come una debolezza, per esempio, rispetto alle richieste quotidianamente avanzate dalle comunità musulmane. Habermas non è un intellettuale in grado di esercitare una certa influenza: è uomo di potere che ha fatto della sua teoria sulla comunicazione una personale pratica di potere attraverso la comunicazione.