In Iraq è iniziato il dopo surge e per gli Usa scoppia la grana dei Sahwas

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In Iraq è iniziato il dopo surge e per gli Usa scoppia la grana dei Sahwas

In Iraq è iniziato il dopo surge e per gli Usa scoppia la grana dei Sahwas

26 Settembre 2008

La prossima settimana il Governo iracheno dovrebbe iniziare il pagamento degli stipendi dei miliziani appartenenti ai cosiddetti Consigli del Risveglio (Sahwa). E’ una buona notizia. Si comincerà dai 55.000 uomini dei consigli di Baghdad, un terzo dei quali sciiti, per proseguire poi con gli altri: dai consigli delle provincie di Anbar a quelle di Dyiala e così via. Dopo un braccio di ferro con gli americani durato mesi, Maliki sembra aver ceduto e vinto le sue diffidenze. Resta da vedere se il Governo, effettivamente, manterrà il suo impegno e pagherà. Qualcuno ne dubita. 

Al premier iracheno questi miliziani, in maggioranza sunniti, non sono mai piaciuti. Sono stati utili per combattere Al Qaeda nel Paese e per buttarla fuori da Anbar e da alcuni dei quartieri più violenti di Baghdad come Adhamiya, ma adesso sono diventati ingombranti. Sono sunniti, e già si comincia male per il Governo sciita-centrico di Baghdad. Gli americani li hanno pagati – 300 dollari al mese ai miliziani, oltre 1.000 agli “ufficiali” e diverse migliaia, ma nessuno saprebbe dire quanto, agli sceicchi loro capi – addestrati ed armati e ben presto i Sahwas, spuntati come funghi in tutto l’Iraq centro-settentrionale, sono diventati un Esercito. Probabilmente più forte dello stesso Esercito del Mahdi e della Brigata Badr. 

Come se non bastasse, molti di loro sono ex appartenenti al disciolto Esercito iracheno e alla Guardia Repubblicana – e pare che ci sia anche qualche ex Muckabarat – e fino all’autunno del 2006, quando si sono rivoltati ufficialmente contro Al Qaeda, costituivano la spina dorsale della guerriglia sunnita. Il fatto poi di non volersi riconoscere ufficialmente nei tre partiti che formano il Fronte dell’Accordo, la coalizione "sunnita ufficiale” in Parlamento, costituisce un’ulteriore aggravante. Anzi, agli occhi di Maliki puzza terribilmente di Baath, così come il loro fervente nazionalismo e il continuo richiamo all’unità irachena e al nemico iraniano. Anche i nomi fanno la loro, “Risveglio” assomiglia moltissimo a “Ritorno”, la prima sigla con la quale la guerriglia baahista si presentò subito dopo l’inizio dell’intervento americano. 

Gli USA cercano di evitare infiltrazioni: li selezionano accuratamente, prendendo impronte digitali ed iride, confrontando i loro nomi con quelli presenti nei loro dati base e nei dati base del Ministero dell’Interno iracheno. Vogliono che quanto meno i guerriglieri più irriducibili siano esclusi dalle milizie, ma sanno che anche gli altri hanno dato il loro bel contributo alla “resistenza”. Molti di loro hanno combattuto a Fallujia e Ramadi e hanno sulla coscienza diversi attacchi contro le truppe americane. 

Per mesi il Governo iracheno ha ostacolato i progetti di Petraeus di giungere ad un rapido assorbimento delle milizie dei Sahwas all’interno delle forze di sicurezza irachene. Maliki del resto si sente forte: l’Esercito del Mahdi è stato riportato nei ranghi – e poco importa che il risultato si debba più alla mediazione del generale Qassem Suleimani, capo dei Pasdaran, che alla forza dell’Esercito iracheno – Al Qaeda è in rotta e gli sciiti hanno il pieno controllo dell’Iraq. Perché allora spalancare le porte delle forze di sicurezza ai Sahwas con il rischio di aprirle ad infiltrati e baathisti? In più di un’occasione il Premier iracheno è stato tentato di rimetterli bruscamente nel cassetto, essendo ormai inutili dopo la vittoria su Al Qaeda. Negli ultimi due mesi si contano decine di arresti ai danni di esponenti dei Consigli, soprattutto nella provincia di Dyiala, e, probabilmente, se non ci fossero stati gli americani – che, grazie ai Sahwas, più che al surge, hanno visto drasticamente migliorare la situazione della sicurezza sul terreno – Maliki sarebbe andato oltre mandando contro le milizie del Risveglio anche l’Esercito. Non l’ha fatto e adesso bisogna comunque trovare una qualche soluzione al problema. 

Americani ed iracheni da tempo si erano accordati per integrare il 20% dei miliziani nell’Esercito e nella Polizia irachena e riqualificare il restante 80% per l’impiego nell’opera di ricostruzione del Paese e nei settori civili dell’amministrazione. Il Governo li avrebbe pagati regolarmente al posto degli americani.  Maliki ha sempre tergiversato, ma alla fine le pressioni americane l’hanno costretto a cedere. Vedremo se il premier  terrà fede al suo impegno. Come sottolineato dal generale Lloyd Austin, braccio destro del successore di Petraeus in Iraq, il generale Raymond Odierno, le modalità, i criteri e la continuità con cui verranno effettuati i pagamenti sarà un banco di prova per misurare l’effettiva volontà di Maliki di lavorare per la riconciliazione e di chiudere con la spinosa questione. 

Tuttavia, i Sahwas non si fidano. Temono che il Governo faccia orecchie da mercante con i loro stipendi e vorrebbero che un numero maggiore di loro potesse entrare nelle forze di sicurezza irachene. Gli americani stanno cercando di rassicurarli in tutti i modi, ma la situazione potrebbe degenerare nei prossimi mesi. Già adesso s’intravedono segnali non proprio positivi. Nella provincia di Dyiala, dove è avvenuta la gran parte degli arresti ai danni di esponenti dei Sahwas, il quadro della sicurezza si sta nuovamente aggravando. Lo confermano gli stessi militari americani e gli eventi: proprio di ieri è la notizia di un attentato contro una pattuglia congiunta tra forze di sicurezza irachene e miliziani dei Sahwas che ha lasciato sul terreno oltre 30 morti. L’ultimo di una serie di attacchi che negli ultimi due mesi ha insanguinato la provincia. L’aspetto più inquietante è che alcuni membri dei Sahwas prima appartenenti alle Brigate Rivoluzionarie 1920 e ad Hamas in Iraq – due sigle storiche della guerriglia sunnita – avrebbero ripreso le armi contro gli americani e contro il Governo. 

Al di là degli episodi, nell’universo tribale sunnita che ha partorito il movimento dei Consigli del Risveglio c’è grande fermento. I “figli del’Iraq” si sono sentiti traditi, usati. E c’è chi parla esplicitamente della costituzione di un nuovo movimento politico sunnita. Uno dei leader dei Consigli, lo sceicco Ali Hatim, ha bruciato le tappe. In un’infuocata intervista al londinese Asharq Al-Awsat, si è scagliato contro il Fronte dell’Accordo e, soprattutto, contro il suo puntello, il Partito Islamico iracheno, annunciando la formazione di una nuova compagine politica, il Fronte Nazionale per la Salvezza dell’Iraq. L’obiettivo è correre alle prossime elezioni amministrative, previste entro il 31 gennaio 2009, e scalzare il Partito Islamico Iracheno dalla guida delle amministrazioni nelle municipalità della provincia di Anbar. Un bel problema, anche perché Maliki ha più volte affermato che non permetterà a formazioni politiche, più o meno emanazione di milizie armate, di presentarsi alle elezioni. 

Gli americani osservano l’evolversi della faccenda con una certa apprensione. Di certo al loro non è una posizione facile. Da un lato devono sostenere Maliki, dall’altro non possono abbandonare i “figli dell’Iraq” perché c’è il rischio che questi tornino ad imbracciare i kalashnikov contro i Marines. Le due controparti allora ne approfittano e tirano il più possibile la corda. Il rischio che si spezzi è alto e a Washington lo sanno. Ma evitare che ciò accada potrebbe essere anche molto difficile, se non impossibile.