In Iraq tra Maliki ed Allawi spunta la mediazione di Barzani
04 Giugno 2011
Mentre il medio oriente si infiamma per quella che è stata definita la “primavera araba” c’è un paese che sembra non essere stato contagiato dalle rivolte: l’Iraq. A differenza di Egitto, Tunisia, Bahrain, Yemen, Siria, Iran, e molti altri, sembra che il vento della rivolta abbia finora risparmiato il governo di Baghdad, ma la situazione per il Premier al-Maliki è tutt’altro che tranquilla. Ad appena sei mesi dalla formazione del suo secondo gabinetto, il premier si trova ad affrontare una difficile situazione politica, che poggia su un delicatissimo equilibrio apparentemente sul punto di rompersi. Era dicembre, infatti, quando si sbloccava finalmente la situazione di stallo che durava dalle elezioni del 2010 e che aveva lasciato il paese senza guida, ed ora il governo di coalizione, ma sarebbe più corretto definirlo di “unità nazionale”, sembra crollare.
L’accordo che aveva consentito la nascita del nuovo esecutivo, infatti, si reggeva su un patto politico tra al-Maliki e l’ex premier Iyad Allawi, il quale aveva accettato la designazione del rivale come primo ministro, nonostante alle elezioni
Oltre a ciò, la necessità di accontentare i diversi componenti della coalizione ha portato ad una crescita abnorme dell’esecutivo, che ad oggi conta 42 ministri (molti dei quali con competenze poco chiare che si sovrappongono) e 3 vicepresidenti. In realtà, come riportato dal Los Angeles Times nei giorni scorsi uno dei tre, Adel Abdul Mehdi, ha rassegnato le dimissioni, nel tentativo di dare un segnale ai partner governativi, e soprattutto, al mondo religioso e civile che chiede da tempo con insistenza una riduzione delle dimensioni dell’Amministrazione Maliki. La più importante figura religiosa del paese, il grande ayatollah Ali Sistani, già a febbraio aveva chiesto ai politici di tagliare le “poltrone” e di migliorare i servizi pubblici, ma da allora non è arrivato alcun segnale da parte del governo. E purtroppo l’accrescimento della macchina statale ha comportato non solo un aumento del potere della burocrazia, sempre più insostenibile, ma anche una crescita del fenomeno della corruzione, vera e propria piaga del paese.
Ad offrirsi come mediatore tra Maliki ed Allawi è ancora una volta il presidente del Kurdistan iracheno, Masoud al-Barazani, che ha recentemente lanciato una iniziativa per tentare di farli riavvicinare. Come riporta Sami Moubayed su Asia Times, Barazani ha formato una “commissione di quindici personalità allo scopo di condurre un’azione diplomatica tra i due leader”, con buone speranze di successo, visti i precedenti (fu Barazani a convincerli a concludere lo “Irbil Agreement” l’accordo da cui è nato il governo di unità nazionale). Quello che si sta cercando di evitare è non solo una crisi di governo, che porterebbe fortissima instabilità in una democrazia ancora molto fragile, ma soprattutto che avvenga in Iraq ciò che è già avvenuto in Libano, e cioè che la politica si spacchi definitivamente su linee settarie, con una spartizione delle cariche definita una volte per tutte in base all’appartenenza religiosa. Le conseguenze di questo tipo di divisione dei ruoli in Libano sono sotto gli occhi di tutti; Hezbollah, con il supporto dei Guardiani della Rivoluzione iraniani ha lentamente preso il potere, ma un’analoga sconfitta in Iraq rappresenterebbe per l’Occidente, e soprattutto per gli Stati Uniti, un fallimento inaccettabile.