In Italia è tempo di dire  “no taxation without privatization”

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In Italia è tempo di dire “no taxation without privatization”

14 Dicembre 2011

Questo slogan, che molti sicuramente leggeranno come una versione alternativa al più noto No taxation without representation, coniato a Chicago dal reverendo Jonathan Mayhew nel 1750, per affermare la volontà dei colonialisti americani di chiedere la rappresentazione dei propri diritti all’interno del parlamento inglese, può diventare un motto in grado di riassumere il sentimento comune che in questi giorni sta nascendo tra gli italiani a seguito delle continue manovre che, ad ogni round, introducono nuove tasse, senza che nessuna politica di privatizzazione venga seriamente fatta.

Il rapporto tra entrate dello Stato e PIL, infatti, è arrivato a sfondare la soglia del 50%. Un valore decisamente al di sopra di quello dei paesi anglosassoni, dove la cultura liberista ha permeato le istituzioni, creando quell’humus intellettuale che ha formato generazioni intere di governanti, coscienti del fatto che dei livelli eccessivi di tassazione rappresentino una vera e propria ingiustizia sociale, creando avversione nei confronti della cosa pubblica, sentimenti di rivalsa e volontà di evadere il pagamento dei tributi.

Le ultime manovre correttive dei conti pubblici sono state un susseguirsi di nuovi prelievi. Dal contributo di solidarietà, all’aumento dell’IVA (che a regime vedrà l’aliquota del 10% salire a 12,5% e quella del 20% al 22,5%), dalla reintroduzione dell’imposta sulla prima casa alla tassazione delle case all’estero, dalla tassa sul lusso all’aumento dell’accisa sulla benzina, dalla tassazione delle attività finanziarie all’aumento del bollo sui conti correnti per le imprese. Tremonti aveva previsto una riforma fiscale che riduceva le famose agevolazioni fiscali, al fine di allargare il più possibile la base imponibile e ridurre, finalmente, le aliquote Irpef, per indirizzare il sistema del prelievo verso un configurazione più flat, con i relativi benefici in termini di efficienza e semplificazione amministrativa. Progetto, almeno momentaneamente, accantonato.

A fronte del pesante incremento del prelievo fiscale, soprattutto relativo alla tassazione indiretta, che colpisce soprattutto i più poveri (l’IVA è il tipico esempio di imposta regressiva), nulla è stato fatto dal versante delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, le cosiddette "riforme a costo zero", quelle che possono davvero influenzare la crescita, quelle davvero che vanno a vantaggio dei più poveri. Per farle, però, occorre superare i veti delle potenti lobbies che si annidano in molti settori dell’economia.

Il Monti professore ha sempre criticato i precedenti governi di nulla fare per privatizzare l’economia. Il Monti commissario europeo alla concorrenza ha sempre (giustamente) sottolineato l’assenza di politiche di liberalizzazione. Arrivato al potere, il premier Monti contraddirebbe sé stesso, se la sua politica di risanamento non partisse proprio da queste politiche pubbliche.

L’Italia non ha il diritto di annegare in un mare di tasse senza che tutti gli sforzi siano stati fatti per dar via alle riforme che non toccano, ma avvantaggiano, i più deboli. Nessun altro euro dovrebbe essere prelevato dal portafoglio dei cittadini senza che il premier possa andare in parlamento e dire, in coscienza, di aver fatto tutto quello che era possibile fare per effettuare le riforme necessarie al fine di ridurre il peso dello Stato nell’economia.

E’ una legittima pretesa che ogni cittadino ha. Non si sta parlando di evasori, ma di cittadini comuni che si vedono aumentare il prezzo del pane, con la giustificazione che lo Stato deve fare cassa, per poi scoprire che gli avvocati, i notai e i tassisti potranno continuare elevate tariffe, perché ancora una volta l’hanno fatta franca. Il patto fiscale tra Stato e contribuenti non può durare se i secondi vedono i propri diritti economici sopraffatti dallo strapotere di pochi collettori di interessi che tengono in scacco il futuro del paese.