In Italia la lotta al terrorismo funziona, lo dice anche il Dipartimento di Stato

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In Italia la lotta al terrorismo funziona, lo dice anche il Dipartimento di Stato

01 Giugno 2009

I recenti arresti di Bari condotti dall’antiterrorismo italiano sono una conferma agli elogi indirizzati alla nostra intelligence nel Country Reports on Terrorism 2008, il rapporto sul terrorismo globale pubblicato dal Dipartimento di Stato americano. “Il lavoro dell’antiterrorismo italiano – si legge – si è mantenuto ad un alto livello professionale, smontando organizzazioni di cellule terroristiche all’interno dei suoi confini”. Le congratulazioni si traducono in risultati e i risultati in cifre.

 

Dal rapporto si evince che l’Italia viene usata dai jihadisti come piattaforma per il reclutamento di militanti da inviare all’estero e per la raccolta di fondi nella guerra all’Occidente. Abbiamo nomi e cognomi di chi raccoglie denaro attraverso il circuito delle moschee e dei centri culturali: 11 arresti per terrorismo internazionale ai danni del gruppo islamista Adl Wal Ihassan (“Giustizia e Carità”), attivo in diverse regioni del Nord Italia e in Toscana; 5 fondamentalisti scoperti in provincia di Bologna a reclutare uomini e fondi; decine di affiliati alle Tigri Tamil fermati a Napoli che contribuivano a finanziare la guerriglia nello Sri Lanka. Altri fermi effettuati a Roma, Genova, Palermo.

In molti casi, i jihadisti nostrani si ispirano, direttamente o indirettamente, all’AQIM – “Al Qaida nel vicino Maghreb”. Almeno 29 “shaid” che hanno colpito negli ultimi 3 anni in Iraq o in Afghanistan provenivano dall’Italia e spesso vivevano qui da noi da anni. 8 islamisti della colonna italiana sono detenuti a Guantanamo.

Dalla Lombardia è scattato l’accredito per le schede telefoniche Western Union usate dal gruppo di fuoco di Mumbai e della Chabad House; mentre a Milano è stata scoperta la cooperativa “General Service” che si occupava di selezionare i kamikaze da inviare in Afghanistan. Sempre a Milano sono stati sventati una serie di attentati contro una stazione dei Carabinieri, l’ufficio immigrazione e i grandi magazzini della Standa. In Italia agiscono i gruppi affiliati al Kurdistan Workers’ Party ma anche gli affiliati alle brigate bosniache, uno dei polmoni marci dell’internazionale jihadista.

L’intelligence italiana stra cercando di contrastare i diversi gruppi terroristi sul piano economico e finanziario, nell’individuare e bloccare le risorse prosciugando la palude che permette a costoro di sopravvivere. Tutto questo è avvenuto in stretta collaborazione con gli Stati Uniti, per esempio nel contrastare il riciclaggio di denaro sporco, ma anche attraverso la collaborazione con le agenzie Usa e altri governi stranieri, dal Financial Action Task Force (FATF) al Gruppo Egmont.

L’Italia è stata uno dei principali contribuenti dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulla droga e il crimine (UNODC). Nel maggio del 2006, gli Stati Uniti e l’Italia hanno firmato un nuovo trattato di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria che ha consentito a squadre investigative miste di congelare più facilmente i beni dei sospetti e dei criminali. Il Senato degli Stati Uniti ha già ratificato i trattati. Sul versante italiano, l’approvazione del Consiglio dei Ministri risale al novembre del 2008.

Da ultimo, il nuovo assetto legislativo dei nostri Servizi Segreti. “Dopo trent’anni, si cambia” intitola la rivista di intelligence Gnosis sottotitolando che sta iniziando una vita nuova per i Servizi. Nel 2008 il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica ha dovuto necessariamente adattarsi alla varietà delle minacce che attentano alla stabilità e alla sicurezza del Paese e dei suoi cittadini.

Secondo Gianni Letta il rinnovamento nella struttura dei servizi d’intelligence italiani è stato “un esempio di efficienza e di buona organizzazione”. Ma anche “un esempio, purtroppo raro, di armonica collaborazione istituzionale e di decisioni condivise, com’è giusto che sia, quando le scelte riguardano la collettività e la sua sicurezza. E come sarebbe bene che fosse sempre. Perché è così che si servono le Istituzioni”. Un’armonia d’intenti che potrebbe essere applicata, per esempio, anche alla sicurezza in materia di immigrazione clandestina.