
In Italia una forza che difenda vita e famiglia avrebbe praterie da percorrere

29 Gennaio 2013
"Ci sta a cuore tutto l’uomo".
In questa prospettiva – delineata da S.E. il cardinal Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente della CEI lunedì 28 gennaio – mi sembra condivisibile il commento del sen. Quagliariello. Sono più importanti i contenuti dei contenitori. Politici.
Aggiungerei, da cattolico che non si sente «specie protetta, roba da WWF sociologico, che oggi in modo speciale più del «nome» cattolico importa il «discorso» cattolico. Meglio: il discorso secondo natura – secondo l’ordine e il diritto naturali – e perciò cristiano. Ed infatti, il «nome» cattolico è posto in calce alla famigerata legge 194: la legge abortista è sottoscritta solo da cattolici, più precisamente da democristiani. Non sempre il contenitore garantisce il contenuto.
Il «discorso cattolico», così inteso, è un discorso per tutti, e non solo per credenti (e praticanti), altrimenti rischierebbe d’essere un discorso clericale. Come riconoscerlo? Dalle priorità e dai necessaria. Priorità e necessaria non secondo fede, ma secondo ragione, che però la fede e il magistero della Chiesa rammentano, illuminano e aiutano a comprender meglio.
Benedetto XVI, nella Caritas in veritate ha ribadito che la questione sociale è questione antropologica (n. 75). E quando era ancora solo Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al tempo della bagarre per la presidenza degli USA tra il cattolico pro choice Kerry (un CINO: Catholic In Name Only) e il protestante pro life George W. Bush, scrisse ai vescovi americani che erano da considerare dirimenti (anche ai fini dell’ammissione all’Eucaristia) le posizioni politiche – non private, non di morale individuale, ma pubbliche, giuridiche – sull’aborto e sulla famiglia, e non quelle su altre pure importanti issues politiche, per le quali, però, le soluzioni sono ottative.
Le priorità e i necessaria, dunque. Alleanza Cattolica, ricavandoli dal magistero della Chiesa e dal classico buon uso di ragione, li ha elencati in un pro-memoria elettorale, che ha messo a disposizione, come contributo per la riflessione, il giudizio e l’azione, di elettori, forze politiche e candidati
http://www.alleanzacattolica.org/comunicati/201212.htm.
Esso contiene una sorta di esalogo, che in qualche maniera ricorda l’eptalogo del Patto Gentiloni – condizione del consenso da parte degli elettori cattolici –, che fu proposto in chiave antisocialista a tutte le forze politiche in occasione delle elezioni del 1913.
1. Rifiuto dell’aborto e della sua liberalizzazione, con l’adozione di «misure efficaci che limitino il numero degli aborti, aiutino le madri in difficoltà, contrastino il ricorso alle pillole abortive e sostengano i singoli e le organizzazioni autenticamente pro life»;
2. opposizione ad eutanasia e suicidio assistito, anche nella forma dissimulata del c.d. testamento biologico;
3. lotta contro ogni tipo di droga;
4. difesa della famiglia e dei suoi diritti, compreso quello di non essere equiparata a nessun’altra forma di convivenza a base sessuale, come «società naturale [naturale, vuol dire secondo natura: «maschi e femmine» siamo] fondata sul matrimonio» [art. 29 cost.], che è il vero fattore di soluzione della crisi e di crescita economica, oltre che di sopravvivenza della nazione; quindi, no ad ogni forma di riconoscimento delle unioni fra omosessuali, un mero fatto privato, e alla facoltà d’adozione e/o procreazione surrogata da parte di coppie omosessuali;
5. contrasto ad ogni tipo di legge sulla cosiddetta «omofobia», che potrebbe impedire l’insegnamento dell’opinione di san Paolo e del Catechismo della Chiesa Cattolica sull’omosessualità;
6. libertà d’educazione per le famiglie, che si risolve nella possibilità effettiva d’istituire e frequentare in condizioni di parità centri d’istruzione e formazione non statali e conformi alle proprie legittime convinzioni, senza che questo sia tanto gravoso per il carico fiscale da essere riservato esclusivamente ai «ricchi», anzi ai «molto ricchi».
Si tratta dei «principi non negoziabili» per i cattolici, nel senso che in ordine ad essi «non esiste compromesso o mediazione comunque si voglia chiamare, perché ne va dell’umano nella sua radice», come ha ulteriormente ricordato il card. Bagnasco nella sua citata prolusione.
Ed in effetti, quei cattolici che fingessero di non sapere che le cose stanno così sarebbero invero ben poco cattolici. Infatti, siamo al cospetto di un magistero vincolante e noto, attesa la sua fermezza e ormai ultradecennale reiterazione. Sarebbero cioè anche loro dei CINO, che, considerando forse il Padre Eterno troppo conservatore e il diavolo troppo progressista – insomma due scalmanati estremisti (absit iniuria verbis) –, in cerca di una mediazione, individuano altre priorità, un «centro» tra gli opposti estremismi e i loro pretesi rappresentanti in terra (per i troppo seri: è un ragionamento per categorie; ogni riferimento a soggetti concreti e attuali sarebbe puramente tendenzioso).
Ma sono principi non negoziabili anche per gli uomini di retta ragione. Sono del genere che i padri fondatori della repubblica statunitense definirono self evident, e quindi non relegabili nella coscienza individuale, se non con un atto di violenta costrizione, in quanto indissolubilmente legati all’autentico bene comune. Pretenderli fuori del dibattito pubblico significherebbe negare che fondamento di ogni costituzione sono gli uomini e le loro convinzioni ultime. In tal caso, avrebbero ragione i tecnocrati: le uniche verità sociali sono i logaritmi e le loro proiezioni econometriche, ogni altra concezione è relativa e guai a farne una bandiera. La dittatura del relativismo, appunto.
Ma finalmente anche questa è una convinzione ultima di tipo antropologico. Falsa, ma tale. Accade sempre: ogni negazione della verità nega sé stessa. E così avviene per chi pretende di rimanere estraneo, di non prendere posizione pubblica su questi principi: è già una posizione, e forse la più intollerante.
Del resto, se la sinistra in fondo sa quello che vuole (aborto libero, gratuito e farmacologico con la pillola «fai da te»; eutanasia e suicidio assistito; diagnosi e selezione eugenetica prenatale e preimpianto; fecondazione eterologa e maternità surrogate, con traffico di ovociti; «famiglie» al posto della famiglia; divorzio breve, brevissimo; «matrimonio» e adozione omosessuali; droga più o meno libera; educazione di stato, con il corollario della soppressione o svuotamento della proprietà per via fiscale), potrebbe essere credibile, anche elettoralmente, un’alternativa che non prenda ufficialmente posizione uguale e contraria su queste issues?
E non si tema l’impopolarità o la perdita di consensi.
Anzitutto perché la verità val bene il rischio d’essere derisi dal Corriere, da Repubblica, dai comici e dalle televisioni.
Ma anche perché quanto accaduto un paio di settimane fa a Parigi, con la sorprendente riuscita della manifestazione per l’ovvietà circa matrimonio e parentalità, dovrebbe far riflettere.
Se esistono simili riserve di consenso nella laicistissima e weberianamente arcidisincantata Francia, quali praterie sarebbero percorribili da una forza politica che in Italia – luogo fin qui dell’eccezionale (letteralmente) resistenza alla deriva nichilista dell’Occidente –, senza timidezze e complessi, dicesse semplicemente la verità sulla vita, la famiglia, la libertà d’educazione ed economica, verità che ha dato buona prova di sé in un’esperienza plurimillenaria e che contiene ogni altra soluzione ai problemi sociali.
Non è per fare un favore ai preti. È per fare un favore, conservandone la natura, all’uomo, agli uomini che noi siamo, ma soprattutto agli uomini che sono e saranno i nostri figli, e i figli dei figli, consegnando loro quel patrimonio di verità e d’istituzioni che abbiamo ricevuto in eredità senza alcun merito. E senza pagare tasse di successione.
Mi fermo qui, per ora. Il discorso, tuttavia, merita d’essere proseguito.