In Kosovo ha vinto la democrazia e adesso la Serbia deve farci i conti
17 Novembre 2009
Prishtina. In Kosovo si sono tenute le prime elezioni dall’indipendenza, senza incidenti e, a quanto pare, senza neanche uno sconfitto. Il nuovo Paese ha dovuto eleggere i sindaci e le assemblee locali e, nonostante siano andati alle urne soltanto il 45 per cento dei votanti, questo risultato è pur sempre superiore a quello delle ultime elezioni del 2007. Tra le 36 municipalità in palio, c’è stata una vittoria un po’ per tutti e i sostenitori di ciascun partito hanno festeggiato durante tutta la notte.
Per di più, nel nuovo comune di Gracanica è stato eletto sindaco Bojan Stankovic del partito liberale serbo. Solo pochi serbi sono andati alle urne in Kosovo, ma persino questo risultato parziale è una benvenuta inversione di tendenza rispetto al chiaro boicottaggio incoraggiato da Belgrado che, d’altro canto, ha ottenuto una piena adesione solo nelle aree settentrionali del Paese. Tutta la serie di attori internazionali che supervisionano l’indipendenza del Kosovo – cioè la Comunità Internazionale – ha dichiarato vittoria. Essendo il primo governo della repubblica del Kosovo, tutte queste cose sono comunque un grande trionfo.
La fotografia è, come al solito, molto più complessa. Questo risultato non era prestabilito. Nel periodo precedente alle elezioni la tensione tra i partiti, le persistenti voci sulle frodi elettorali e la possibilità che la minoranza serba sarebbe rimasta a casa senza alcuna eccezione, avevano posto serie preoccupazioni. La sera delle elezioni, invece, tutti i timori si sono dissipati. Le corse sotto i fuochi d’artificio lanciati nelle maggiori città sono state espressioni spontanee di un generale senso di sollievo, così come gli spettacoli hanno dimostrato la forza dei partiti.
Liberi dalla “sindrome albanese”, come la mette un commentatore, cioè di veder contestato ogni singolo risultato elettorale da parte della vicina Albania, la maggioranza albanese del Kosovo si è sentita più in sintonia con le altre democrazie liberali. Gli spin doctor hanno lasciato da parte l’asprezza per lanciarsi in pronte acclamazioni di vittoria, talvolta un po’ confuse. Dato che il Partito Democratico (PDK) ha festeggiato la vittoria in 20 municipalità, l’Alleanza per il Futuro (AAK) in altri 16 e la Lega Democratica (LDK) ha vinto senza ombra di dubbio nella capitale Prishtina, uno avrebbe potuto chiedersi se il numero delle municipalità fosse tutto d’un colpo aumentato durante la notte. Certo, il dopo-elezione riaggiusterà il totale, ma la novità è stato l’uso intelligente dei media per proiettare messaggi positivi e rimanere in “campaign mode”.
Le elezioni sono state una prova importante per il governo dell’ex leader del Kosovo Liberation Army, Hashim Thaci che, dalla sua nomina nel gennaio 2008, ha avuto il compito di traghettare il Paese nella difficile transizione da un’amministrazione guidata dalle Nazioni Unite all’indipendenza. Per una serie di ragioni – dalle difficoltà economiche alla frustrazione per la continua supervisione internazionale sulla Repubblica del Kosovo –, negli ultimi mesi il governo di Thaci sembrava aver perso la sua luce. Dopo queste elezioni Thaci può tirare un sospiro di sollievo, specialmente perché il suo partito (PDK) pare abbia vinto in tutto il Paese. Nulla importa che l’attuale elezione non possa essere paragonata a tutte quelle precedenti, dato che i sindaci vengono eletti direttamente e non si segue il sistema proporzionale. La cosa davvero rilevante è che non c’è stato un declino significativo.
Se Belgrado sia o non sia il vero sconfitto di queste elezioni, è una questione discutibile. Né il Governo né il presidente serbo hanno fatto dure campagne contro la partecipazione dei serbi al voto kosovaro, anche se è stata data loro una chiara direttiva di boicottare le elezioni. Forse hanno pensato che non era necessario reagire in modo esagerato. Finora, non ci sono stati segnali che fanno pensare che i serbi del Kosovo seguiranno una strada diversa e che, al contrario, sarebbero disposti a guadagnarci dal processo di integrazione attraverso il decentramento e la devolution, cose che la Costituzione kosovara garantisce ampiamente a loro e alle altre minoranze.
Il voto di Gracanica, così come quello a Strpce (dove l’affluenza è stata molto minore ma sufficiente ad obbligare il candidato albanese ad andare al ballottaggio), dimostrano per la prima volta che esiste un potenziale cambiamento nel comportamento dei serbi del Kosovo. Naturalmente, il completo boicottaggio nel Nord del Paese era previsto perché conferma le paure della suddivisione. Nonostante ciò, la notizia è che Belgrado non è stata capace di fermare i serbi locali dal votare nelle aree meridionali del Kosovo, dove le città a maggioranza serba devono convivere circondate da un territorio a maggioranza albanese.
In una recente riunione con il Comitato degli Affari Esteri dell’Ue, il ministro serbo degli Affari Esteri Vuk Jeremic ha definito coloro che avrebbero partecipato alla creazione della Repubblica kosovara “serbi onesti”, un termine sprezzante usato nel passato per parlare degli albanesi che collaboravano con il regime di Milosevic. Il suo atteggiamento e le sue parole non sono state particolarmente apprezzate dai rappresentanti europei, che si stanno sforzando per fare del Kosovo un Paese “normale” ed iniziano a risentirsi per l’incessante ostruzionismo del Governo serbo. Le attuali elezioni forse hanno solo dimostrato che, guardandosi indietro invece che avanti, Belgrado è scollegata dalla nuova realtà del Kosovo.