In Libia la vittoria dei liberali segna la prima ‘buona nuova’ dalle rivolte arabe
10 Luglio 2012
Ottime notizie da Tripoli. Già, in base a talune indiscrezioni, le prime elezioni libere del ‘post-Gheddafi’ – volte ad eleggere l’assemblea costituente – avrebbero premiato il fronte liberale dell’’Alleanza delle forze nazionali’ (Tahalouf al-quwwa al-wataniyya), guidato dall’ex primo ministro ad interim del governo transitorio Mahmud Jibril. Il già premier avrebbe così sconfitto il fronte islamista di ‘Giustizia e sviluppo’ (Hizb al-adala wal-bina), l’ala partitica della Fratellanza musulmana, nonostante alcuni eminenti esponenti di tale cartello elettorale avessero addirittura predetto, nei giorni scorsi, la conquista del 60% dei seggi dell’assemblea.
I chiari di luna, tuttavia, non erano affatto dei migliori. Anzi. Analizzando il trend delle ultime consultazioni nord-africane, non era per nulla peregrino immaginarsi un’ulteriore affermazione del fronte islamico. Non da ultimo, in questo senso, occorre rammentare il caso egiziano, più volte preso in esame da questo Quotidiano, con la vittoria – neanche troppo a sorpresa – alle elezioni presidenziali del candidato di ‘Giustizia e Libertà’, Mohamed Morsi.
La Libia, invece, sembra aver intrapreso tutt’altra direzione. Vero, stiamo parlando ancora di indiscrezioni, di rilevazioni non ufficiali. Ed è la cautela, quindi, a regnare sovrana in casa Jibril. I risultati definitivi, infatti, non si avranno prima di alcuni giorni, sebbene i rumors circolati in queste ore abbiano già indotto ‘Giustizia e sviluppo’ ad ammettere la sconfitta.
Ma cosa ha determinato la (ancora non certa, repetita iuvant) vittoria dell’alleanza liberale? Anzitutto, l’appartenenza di Jibril alla tribù libica più importante, la Warfalla. In secondo luogo, una condivisibile chiave di lettura è data dalla consapevolezza del popolo libico di volersi affidare a chi, nel corso di questo lungo e duro periodo ‘post-gheddafiano’, ha dimostrato di saper mantenere la bussola. Pur con una guerra civile in atto; pur con un inquietante vuoto politico causato dalla caduta e dal seguente regicidio del Raìs.
D’ufficiale, almeno finora, è il dato relativo all’affluenza: secondo quanto rivelato dalla Commissione elettorale, esso s’attesterebbe attorno al 60% (1.6 milioni su 2.8 degli aventi diritto). Un buon dato, frutto di un Paese da oltre 40 anni privo d’ogni genere di consultazione elettorale e di una tornata vissuta alla stregua di una festa: cortei spontanei per le strade e testimonianze fotografiche di un giorno storico per l’a dir poco embrionale democrazia libica hanno caratterizzato la due giorni del voto.
Tutto bene madama la marchesa, dunque? Non proprio. L’assemblea costituente in fieri, infatti, dovrà vedersela con altre importanti questioni di carattere politico: dei 200 seggi in palio, 120 verranno riservati ai candidati indipendenti, allo scopo di permettere alle comunità locali di essere rappresentate. Solo i restanti 80, invece, andranno alle forze politiche presentatesi. Ciò, evidentemente, potrebbe provocare un problema d’eterogeneità all’interno dell’assemblea. Ma v’è di più: in una Libia ‘somalizzata’ (ci si perdoni il neologismo, ndr), diverrà necessario affrontare il tema del rapporto – calato nel contesto libico – tra centro e periferia. In altre parole, dovrà affrontarsi l’annosa ed eterna dicotomia tra governo centrale e riconoscimento dell’autorità delle tribù locali.
Per tali motivi, basterà la caratura istituzionale (ed internazionale) di Jibril (comunque non eleggibile, ndr) ad assicurare un buon compromesso? Vedremo. Per ora tiriamo un sospiro di sollievo: dopo le affermazioni in Tunisia ed Egitto, la Fratellanza – almeno in Libia – pare non aver sfondato.