In Libia siamo in guerra: ora basta “cacadubbi” e nostalgie

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

In Libia siamo in guerra: ora basta “cacadubbi” e nostalgie

23 Marzo 2011

Sarà per un riflesso vetero-liberale ma quando vedo troppi affollarsi dalla stessa parte sento l’irresistibile bisogno di piazzarmi da quella opposta. Così sull’intervento internazionale in Libia. Anch’io ho espresso in questo stesso blog dubbi e perplessità ma ormai siamo in guerra e dobbiamo andare fino in fondo, cioè vincere.

Ho invece l’impressione che, specie sul versante del centro-destra, tra la sua classe dirigente, i media, i commentatori più illustri, il tasso di cacadubbismo abbia raggiunto livelli allarmanti. Anche i “generali in poltrona” dovrebbero sapere quanto è importante che il fronte interno mantenga i nervi saldi e tenga a bada posture isteriche.

Se si guardano i giornali d’area sembra che oggi la priorità sia quella di spezzare le reni alla Francia, umiliare Sarkozy e mettere il freno alla perfida Albione. Quanto a Gheddafi il sentimento prevalente è la nostalgia e la compassione. Non esageriamo.

Sarà pure tutto vero: la Francia e il Regno Unito hanno messo gli occhi sulle commesse petrolifere italiane, Obama ha tentennato troppo a lungo, l’Onu è arrivata in ritardo, la catena di comando è incerta, la Nato tarda a entrare in gioco, i ribelli non sappiamo chi siano e sulle nostre coste arriveranno esodi biblici. Ci sarà modo e tempo di occuparci di tutto questo, ma ora che l’Odissea all’Alba è partita e sarà il caso di farla funzionare al meglio possibile, ottenere i risultati sperati e passare alla fase successiva.

La comunità internazionale è in Libia per porre fine al regime del Colonnello Gheddafi, ogni altro risultato cadrebbe al di sotto delle aspettative. Tutti gli altri paesi della coalizione hanno ben chiaro che di ciò si tratta e ragionano ormai in questa prospettiva. Anche l’Italia vi si deve adeguare senza nostalgie per non restare in dietro. La speranza è che le forze ribelli, armate dagli alleati e protette dagli attacchi dell’aviazione lealista, siano in grado di condurre una controffensiva credibile e di abbattere quello che resta del regime. Il tutto cercando di ridurre al minimo le vittime civili affinché il consenso internazionale, e quello arabo in particolare, non venga meno.

Questo è quello che ci dobbiamo augurare ed è molto chiaro, non confuso né ambiguo. Certo, subito dopo si porranno nuovi problemi. Ma Gheddafi ha posto problemi per 42 anni e forse è venuto il momento di affrontarne di nuovi: magari troveremo anche nuove soluzioni.

Si dice: non sappiamo chi siano i ribelli, aiutarli è rischioso. Benissimo, ma è difficile che ci sia sempre un angelo pronto a prendere il posto di un diavolo. Il mondo è un posto complicato e il modo in cui lo sogniamo raramente coincide con la realtà. Io credo che difficilmente si possa essere peggio di Gheddafi, ma tutto può succedere. Quello di cui però sono convinto è che in Libia la voce dell’Occidente sta suonando forte e chiara: non siamo disposti a tollerare regimi che considerino i loro popoli carne da macello. Se un nuovo governo si formerà a Tripoli sull’onda dei nostri Tomahawk, i ribelli sapranno che quello che è successo a Gheddafi potrà succedere anche a loro se seguiranno la sua strada. Nel mondo arabo la forza è un modo per farsi rispettare, vincere equivale a essere nel giusto, le mani tese vengono invece irrise o meglio tagliate.

Il peggio che poteva accadere in Libia era gridare il nostro sdegno, pretendere a parole la fine di Gheddafi e poi lasciargli fare quello che voleva guardando dall’altra parte. Perché nessuno – neppure tra i “cacadubbi” di oggi – avrebbe sopportato di vedere la vendetta “casa per casa” ampiamente minacciata da Gheddafi e da suo figlio Saif al Islam. E subito dopo,  qualsiasi tiranno del mondo si sarebbe sentito invincibile e autorizzato al peggio; qualsiasi aspirazione di libertà si sarebbe spenta per anni.

Si dice:perché il Libia sì e in altri paesi del mondo altrettanto tirannici no? Intanto non si può intervenire ovunque: ci siamo già occupati di Milosevic, di Karadzic, di Saddam Hussein, del regime dei Talebani, di Osama bin Laden. E spesso quelli che oggi pongono quella domanda con aria di sfida erano dalla parte di chi – allora – non sarebbe voluto intervenire. Poi siamo intervenuti in Libia perché ci è stato chiesto, in primo luogo dal Consiglio Tunisino di transizione, poi dalla stessa Lega Araba; perché se ne sono create le condizioni diplomatiche: il fatto che Russia e Cina abbiano rinunciato al diritto di veto non è cosa da poco. Se qualcuno dei “generali in poltrona” è capace di far approvare una risoluzione Onu che autorizzi un intervento militare contro la Nord Corea senza il veto della Cina merita il nobel per la Pace e io sono pronto a lasciare la mia poltrona e ad arruolarmi.

Si dice: è a rischio il petrolio italiano, i nostri interessi nel paese. Intanto è un bene che ci sia una così acuta percezione dei nostri interessi in Libia perché mi pare che quando era il solo Berlusconi a farsene carico era preso a pesci in faccia. Poi il petrolio o il gas sono preziosi per chi li produce se c’è qualcuno che li compra. Sottoterra o bloccati nei depositi valgono niente. E’ molto probabile che le aziende libiche che ci hanno rifornito negli ultimi decenni continueranno a farlo, anche nel loro interesse. Certo è in corso una competizione tra alleati per quelle risorse, ma non è così ovunque e per qualsiasi cosa? Per il petrolio come per il latte? Dovremo essere in grado di farci valere contro la concorrenza, mettere in campo la nostra competenza e la nostra capacità. E magari anche quel tanto vituperato accordo di amicizia italo-libico che prevede un contributo italiano a quel paese per 5 miliardi di euro in 5 anni. Anche i nuovi governanti potrebbero averne bisogno e se non rispetteranno i loro impegni noi potremmo non rispettare i nostri. Eppoi qualcuno ha veramente il coraggio di dire che l’Italia dovrebbe defilarsi da quello che accade nel Mediterraneo, nel nostro mare,  per paura di farsi sfilare qualche contratto dalla Total? Non scherziamo.

Si dice: agli altri la gloria a noi gli immigrati. Pensiamo a conquistarci la nostra fetta di gloria – se proprio di questo vogliamo parlare – e saremo meglio in grado di contrattare la nostra quota di immigrati. Eppoi, anche qui, chiunque governi in Libia avrà interesse a fare affari con l’Italia e per questo le condizioni sono note: collaborare nel controllo dell’emigrazione. Gheddafi lo faceva a modo suo, minacciando continuamente di aprire le cateratte dei disperati per alzare il prezzo dei nostri indennizzi. Forse troveremo qualcuno disposto a farlo meglio di lui.

Il peggio è sempre in agguato ma può anche essere evitato se lo si individua per tempo e si usano gli strumenti giusti. In Libia come ovunque vale lo stesso principio. La scelta è sempre solo una: contribuire a determinare gli eventi o farsi travolgere.