In marcia contro Trump mentre le donne vengono fatte schiave

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In marcia contro Trump mentre le donne vengono fatte schiave

26 Gennaio 2017

Da quando nell’agosto del 2014 lo Stato Islamico ha attaccato Shingal, nell’Iraq nord-occidentale, più di novemila donne yazide sono state uccise, rapite, violentate o ridotte in schiavitù sessuale. Non si contano le altre, nei territori controllati dalla internazionale jihadista. In quell’angolo di mondo, ISIS ha reso istituzionale una cultura di violenza e schiavitù sessuale. Esistono veri e propri listini prezzi per bambine yazide e cristiane, da uno a nove anni, vendute e scambiate come se fossero degli oggetti. “Mi ricordo di un quarantenne che si veniva a prendere una bambina di dieci. Quando lei tentava di resistergli, la picchiava con violenza. A volte usava delle pietre. E le prometteva che se avesse continuato ad opporre resistenza l’avrebbe bruciata viva. Poi la stuprava. Eravamo bottino di guerra e oggetto di mercato. ‘Gli infedeli‘, dicevano, ‘da sempre non hanno prezzo e valore’. Alcune di noi sono state vendute per un pacchetto di sigarette”, così racconta una ragazza yazida che a quindici anni ha subito mesi di prigionia prima di riuscire a scappare.

“Morivo cento volte al giorno. Non una volta. Morivo ogni ora… per le botte, per la miseria, per le violenze sessuali”. Le donne cristiane o di altre minoranze religiose vengono schiavizzate, violentate e torturate in regioni del mondo che si professano islamiche e dove dilaga il mercato del sesso, lo sfruttamento sessuale; una tendenza che, peraltro, sta crescendo nei Paesi occidentali che vedono moltiplicarsi storie come quelle che abbiamo raccontato sull’Occidentale, dai fatti di Colonia in Germania alle ragazzine vittime delle gang islamiche in Gran Bretagna. Le yazide rapite da ISIS o le studentesse martoriate da Boko Haram – oggi, non negli anni Cinquanta – vengono violentate quotidianamente e più volte al giorno, vedono i lori figli morire e le proprie compagne di sventura bruciate vive per essersi rifiutate di convertirsi o di sposare musulmani. Ci si aspetterebbe che i paladini dei diritti in giro per il mondo alzassero in alto gli scudi della libertà femminile per dare voce a queste persone perseguitate. Donne e madri come Asia Bibi, su cui pende la spada di Damocle della pena di morte per il reato di “blasfemia” in Pakistan. Ma le donne occidentali preferiscono marciare contro Donald Trump.

Mentre ci mettono in guardia dalle “fake-news”, media e giornaloni alimentano l’idea che Trump voglia portare via i diritti alle donne – di quali diritti si sentono private? – dando una rilevanza enorme alle manifestazioni dei giorni scorsi nelle città americane, capitanate dai soliti volti noti dello star-system, in marcia contro l’uomo nero; una Alicia Keys struccata e la solita Madonna che urla “fuck, fuck, fuck” ma niente di più. Anzi, abbiamo visto bambine a cui le mamme avevano infilato addosso magliette con su scritto “sarò ingegnere”, “sarò CEO”, “sarò Diplomatica”, forse “sarò mamma” era troppo poco “cool”. Il 21 gennaio le grandi emittenti televisive hanno celebrato questo trionfo del qualunquismo e della retorica, trasmettendo uno spettacolo a tratti surreale e volgare. Ma le ragioni per cui le manifestanti erano lì, “da donne e in quanto donne”, in fin dei conti, non si capisce esattamente quali siano. Forse perché non è legittimo che un uomo bianco, biondo (diciamo) e milionario, sia stato democraticamente eletto presidente degli Stati Uniti. La “democrazia” non è più disposta ad essere democratica

Una manifestazione del genere – peraltro sovrastimata vista la macchina di propaganda che è stata messa in moto – avrebbe potuto essere giustificata se a diventare presidente degli Usa fosse stato qualche ayatollah ma alla Casa Bianca è semplicemente arrivato il Don, determinato a combattere il terrorismo islamico, non un generico terrorismo opera di poveracci, fanatici e ignoranti, ma quello su base religiosa che rappresenta al momento la più grande minaccia per la dignità e la libertà delle donne in alcuni luoghi del mondo. Tutto questo a quanto pare importa poco alle donne che hanno marciato sabato scorso contro Trump. Preferiscono ignorare le storie di altre donne torturate e sterminate in quanto tali da una visione fondamentalista dell’islam. Del resto continua a non suscitare scandalo che in certi Paesi musulmani alle donne è proibita una istruzione o di uscire di casa senza il permesso dei loro parenti, padri, fidanzati o mariti maschi. Non è di questi diritti che si vuole parlare. Non è contro l’islam che sottomette le donne che si vuole marciare. Basta urlare “Not my president” e sono tutti contenti. E’ più facile.