In Marocco la vittoria elettorale degli islamisti deve destare preoccupazione

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In Marocco la vittoria elettorale degli islamisti deve destare preoccupazione

29 Novembre 2011

Il “moderato” Marocco si trova a fare i conti con la vittoria degli integralisti islamici alle appena concluse elezioni politiche, le prime dopo la riforma costituzionale del 1° luglio di quest’anno, ispirata dalla “primavera araba”. 

Tale vittoria è dovuta per molti analisti all’ “onda d’urto” provocata dalle elezioni che il mese scorso in Tunisia hanno visto prevalere “Ennahda” (“La Rinascita”), partito legato ai Fratelli Musulmani e ispirato al partito turco “Giustizia e Sviluppo”, a cui appartengono sia il premier Erdogan, sia il presidente Gül.

A dispetto degli appelli da parte del “Movimento 20 febbraio” (per il quale la nuova Costituzione marocchina “non è democratica”) al boicottaggio delle elezioni, venerdì 25 novembre si è recato alle urne il 45% dei sudditi di Mohammed VI: meno della metà, ma pur sempre il 37% in più rispetto ai votanti nel 2007.

Il partito estremista marocchino “Giustizia e Sviluppo” (Pjd), che nel parlamento uscente contava 47 deputati, ha conquistato ufficialmente la maggioranza ottenendo 107 seggi su 395. L’ha annunciato ieri, domenica 27 novembre, il Ministero dell’Interno marocchino.

Una vittoria elettorale inaspettata anche per lo stesso Pjd, che l’ha definita “un maremoto”, “un successo ben oltre le previsioni” e senza precedenti nel regno. “Questa è la democrazia, con o senza l’islam”, ha esultato Abdelillah Benkirane, segretario generale del partito, dopo l’annuncio ufficiale dei risultati.

“Siamo stati all’opposizione per trent’anni, i marocchini ne hanno viste di tutti i colori. Oggi arriviamo in prima posizione. Gli europei devono capire che o è democrazia o non lo è", ha aggiunto Benkirane, assicurando che “l’Occidente non ha nulla da temere”, riguardo a una deriva estremista del Marocco. E’ l’alternanza democratica, ha dunque spiegato , “la ragione principale” di questo successo.

Hicham El Moussazi, analista politico per il sito ‘Un Monde Libre‘, scrive che il voto marocchino è innanzitutto un “voto-sanzione al governo uscente dopo un bilancio scarso dei partiti della Koutla ( “coalizione” tra Unione Socialiste delle Forze Popolari, Partito per il Progresso e il Socialismo, Partito conservatore-nazionalista dell’Istiqlal).

I problemi di disoccupazione, di povertà, di corruzione e di ineguaglianze sociali hanno certamente esasperato i marocchini. Gli elettori hanno perso fiducia nei partiti politici che rappresentavano, ai loro occhi, a lato dei fedelissimi e degli apparati del Palazzo, i principali responsabili del sotto-sviluppo del paese”.

Ciò è andato di pari passo con il desiderio di “moralità” della politica, fino ad allora dominata dalla corruzione, dall’usura, dal nepotismo e dagli scandali. E’ stata proprio la lotta alla corruzione il cavallo di battaglia di “Giustizia e Sviluppo” e l’islam è stato identificato come la soluzione al problema.    

“E’ una vittoria del popolo marocchino, una vittoria per le riforme politiche e una vittoria per quella che noi possiamo chiamare il terzo modello di riforme politiche”, ha commentato il risultato elettorale Mustafa Khalfi, capo della commissione politica del Pjd. “E’ un graduale, progressivo approccio alle riforme”.

Grazie alla vittoria appena ottenuta, apparterrà proprio al partito “Giustizia e Sviluppo” il premier che verrà scelto da re Mohammed VI per formare il nuovo governo. “Se sarò io, solo Dio lo sa”, ha detto l’islamico Abdelillah Benkirane, ma “sono pronto a governare”. Egli ha aggiunto tuttavia che una coalizione “sarà inevitabile”.  

“E’ una vittoria netta ma abbiamo bisogno di alleanze per lavorare insieme. Attenderemo la nomina da parte del re Mohammed VI di un nuovo capo di governo per cominciare le consultazioni con altri partiti politici”.

Comunque il Pjd ha già annunciato di essere pronto a creare un “Blocco democratico” assieme all’ Istiqlal (Indipendenza), all’Unione socialista delle forze popolari che ha ottenuto 39 seggi e all’ex Partito comunista che ne ha ottenuti 18. Questo assicurerà 224 seggi in parlamento.

Il partito Istiqlal, che è quello del primo ministro uscente Abbas El Fassi, ha ottenuto 60 seggi alle elezioni ed è la seconda forza politica dietro il partito islamista vincente, mentre la terza forza politica del Marocco è il partito liberale dell’Unione nazionale degli indipendenti (Rni), di cui fa parte il ministro dell’Economia e Finanze Salaheddine Mezouar.

“Siamo aperti a tutti”, ha assicurato Abdelillah Benkirane, “tranne a quel partito che ha tracciato una linea rossa su di noi", ha proseguito, riferendosi al Partito dell’autenticità e della modernità (Pam), vicino al re Mohamed VI, il quale è l’unico depositario in Marocco delle prerogative religiose, ma nello stesso tempo si oppone all’estremismo islamico.

Persino diversi nostri media hanno salutato la vittoria del partito “Giustizia e Sviluppo” come il trionfo della democrazia e dell’ “islam moderato”. Lo stesso avevano fatto lo scorso ottobre con il successo di Ennahda in Tunisia.

C’è però chi è preoccupato, come Souad Sbai, parlamentare italiana di origine marocchina. Lo scrive in un articolo intitolato “Marocco – Torna l’ombra della sharia e l’Europa applaude pure”, pubblicato su “Libero” proprio appena appresi i risultati delle elezioni.

Il primo dato su cui riflette l’on. Sbai è l’astensione registrata dalle elezioni marocchine: “Ha votato la metà, forse meno, del Paese, cosa che rende le elezioni poco rappresentative di quanto il popolo marocchino voglia davvero: come si spiega il 98% sfiorato nel referendum sulle riforme con il 45% scarso nelle elezioni? È un dato aggregato che fa pensare. Male, purtroppo. … Non si è registrato una così grande e decisa chiamata all’astensionismo durante la campagna referendaria, cosa che invece è puntualmente accaduta durante quella elettorale. Ovvio che qualcuno aveva tutto l’interesse a non far andare a votare la massa moderata che davvero sposta gli equilibri del potere”.

Ecco perché, secondo Souad Sbai, non hanno prevalso i veri moderati e liberali in Marocco. Tuttavia, continua la parlamentare nel suo articolo, “una forza politica che prende il 20% su un’affluenza del 45 non ha maggioranza e si appresta a vivere un governo di coalizione assai difficile e indigesto”.

Con un moto d’orgoglio per le sue origini l’on. Sbai spiega che “il Marocco non è la Tunisia, l’Egitto o la Libia. Il sistema politico e la società civile ci sono e funzionano. A volte bene a volte male. Ma esistono. Mohammed VI non è Ben Alì o Mubarak. O peggio Gheddafi. I marocchini sono abituati a essere governati, non a essere comandati da un dittatore. Che può essere sostituito da un giorno all’altro con un altro dittatore o con una dittatura di altro genere”.

Perciò la deputata del Pdl ammonisce che “la polpetta è avvelenata, lo sappia bene chi oggi festeggia una vittoria di Pirro, che segnerà storicamente una fase di turbolenza politica e sociale in cui i moderati dovranno essere bravi a non perdere la bussola e a proseguire nella loro azione di denuncia del tentativo dell’estremismo di prendersi il Marocco”.

Infine l’On.Sbai denuncia l’evidente “mano straniera”, che ha guidato questo voto, si legga in primis quella della Francia di Sarkozy. Francia di Sarkozy che, come tutta Europa, non ha imparato la lezione di Tunisia, Egitto e Libia, le quali, dopo aver visto spazzare via le loro pluridecennali dittature, sono sprofondate nel baratro dell’integralismo islamico.

Ancora adesso gli europei, “gli stessi che hanno esultato al crollo dei regimi nordafricani senza che esistesse alcuna alternativa democratica”, salutano il voto marocchino come una “rottura” rispetto al passato. Senza rendersi conto di aver aperto le porte alla sharia, alla legge islamica. Lo preannuncia di fatto Motassim, portavoce del Pjd: “Governeremo con coalizione larga. Il nostro primario obiettivo è combattere la corruzione. Non governeremo con la sharia ma non possiamo contrastarla”.

Intanto si avvicina la “giornata della collera nazionale”, promossa il 4 dicembre dal “Movimento 20 febbraio”, per chiedere riforme a re Mohammed VI.