
In Occidente il Cristianesimo deve tornare ad essere un fatto pubblico

17 Ottobre 2010
E’ da poco stato pubblicato il Secondo Rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa nel Mondo, a cura di monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, e dal vaticanista Stefano Fontana, l’uno presidente, l’altro direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della chiesa. Il Rapporto è anche frutto della collaborazione di altri tre importanti istituti di ricerca come il Centro de Pensamiento Social Católico dell’Università San Pablo di Arequipa (Perù), la Association pour la Fondation de Service Politique di Parigi ed infine la Fundación Pablo VI di Madrid.
Nella Prefazione di monsignor Fisichella appare evidente come questa collaborazione tra i vari osservatori – e quindi tra Italia, Spagna, Francia e Perù – abbia lo scopo di una nuova evangelizzazione che, secondo l’alto prelato, è possibile soprattutto grazie alla dottrina sociale della chiesa. Il rapporto analizza quindi la diffusione, la ricerca, la produzione e la pratica concretizzazione della dottrina sociale con riferimento all’attività magisteriale di Benedetto XVI, ed in particolar modo alla sua ultima enciclica sociale, la Caritas in Veritate. Il documento non tralascia neanche le problematiche e le nuove sfide economiche, sociali ed ambientali, da affrontare e cercare di risolvere con il Vangelo aperto fra le mani.
Professor Fontana, qual è il significato del secondo rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa nel mondo?
Il rapporto è in sé stesso una riproposizione del significato pubblico del Cristianesimo, perché mette in evidenza come in tutto il mondo ci siano comunità e singole persone di fede cristiana che si battono per i diritti umani, per la giustizia e per la pace. E’ quindi un grande affresco di quanto il Cristianesimo ed i cristiani stanno facendo: sono in prima linea e spesso subiscono persecuzioni e ingiustizie semplicemente a causa della loro presenza. Il rapporto mette poi in evidenza come gli stessi valori umani e della convivenza civile tendano ad indebolirsi senza una dimensione religiosa e quindi senza una propria anima religiosa.
Nell’introduzione monsignor Fisichella spiega come oggi la “secolarizzazione” e la “laicizzazione” tendano ad escludere il Cristianesimo dall’ambito pubblico
In certe aree del mondo, come nell’Occidente secolarizzato, la negazione dello spazio pubblico del cristianesimo va di pari passo con la perdita di significato pubblico di valori come la vita, la famiglia, una sessualità responsabile. Nel rapporto facciamo notare come l’eliminazione del cristianesimo dalla scena pubblica comporti dei costi in termini anche umani, sociali e civili, mentre al contrario mi sembra decisivo aver dimostrato come il Cristianesimo abbia fatto bene all’uomo, sul piano della convivenza sociale, nelle battaglie per la dignità umana, la convivenza, la pace.
Qual è il rapporto tra il magistero di Benedetto XVI e l’uomo moderno?
Il pensiero moderno è nato come una esaltazione della ragione (pensiamo all’Illuminismo) e adesso sta concludendo una parabola, giungendo agli esiti esattamente opposti, ossia di ridurre la ragione all’ambito dello sperimentabile, del quantificabile e quindi dell’empirico; in questo modo la ragione perde la fede in sé stessa e si reputa incapace di affrontare i temi dell’etica e questo è il suo fallimento e la sua prigionia. Tutto il magistero di Benedetto XVI è incentrato sul risveglio della ragione, fare in modo che la ragione recuperi la fiducia in sé stessa, e questo può essere nello specifico proprio ciò che la fede cristiana dà alla ragione stessa.
Monsignor Crepaldi suggerisce che l’uomo di oggi rischia di cadere in un “integralismo razionale”, sedotto da nuovi miti e nuovi idoli
Se non c’è l’apertura della ragione alla possibilità di trovare dei significati della convivenza umana si finisce nel cadere in una sottomissione verso alcuni idoli, proprio perché non si ha più la capacità di esaminarli criticamente, distinguendo quelli veri dai falsi. La differenza fra Benedetto XVI e i pontefici precedenti è che questo Papa si distingue per una maggiore accentuazione della necessità che la ragione riscopra le sue possibilità – nella consapevolezza che solo nel rapporto con la fede la ragione può ritrovare sé stessa. La fede non offusca la ragione, ma anzi è quell’aiuto che la fa essere più ragione.
Tornando alla dimensione internazionale del Rapporto, come si muovono le conferenze episcopali dei vari paesi per far fronte ai problemi economici e sociali? Hanno difficoltà nel dialogo con i propri governi?
I rapporti con i governi sono diversi da paese a paese. Nel rapporto abbiamo elencato molti esempi: il rapporto della conferenza episcopale del Venezuela con il governo Chavez è molto problematico perché il governo Chavez vuole istituire una specie di neo-socialismo con nuove forme di presenza oppressiva del potere politico nella vita dei cittadini, con limitazioni gravi della libertà e quindi anche della libertà religiosa. In Venezuela c’è una situazione di tensione, come anche nelle Filippine e in Spagna; nei paesi Africani invece gli episcopati cercano di educare la popolazione alla democrazia, alla convivenza pacifica, al superamento delle tensioni tribali. Il rapporto con i governi quindi è molto vario, quindi non mi sento di dare una risposta univoca.
Proviamo a chiarire quest’ultimo passaggio
Il nostro rapporto evidenza questo: ci sono due modi di intendere la dottrina sociale e metterla in pratica: il primo è considerarla semplicemente come un insieme di consigli etici per il buon funzionamento della società, assegnandole quindi un significato laico, di incontro anche con tutti gli altri fedeli di altre religioni o atei. C’è però anche chi intende l’applicazione della dottrina sociale tenendo conto della sua dimensione verticale, cioè della centralità della fede, della centralità di Dio, della centralità e della prospettiva della fede apostolica. Per cui da un lato abbiamo una dottrina sociale della chiesa un po’ più morbida, un po’ più laicizzata, dall’altro invece, un modello che pur entrando in dialogo con tutti ritiene che il fattore primo dello sviluppo sia l’annuncio del Vangelo.
Che differenza c’è fra i due modelli?
Curarsi dell’ambiente non significa mettere i pannelli solari sulle chiese ma riscoprire nella natura il volto delle creature, cioè un discorso più completo, non solo orizzontale ma anche verticale. Queste due linee stanno divergendo e nel rapporto lo abbiamo segnalato come problema perché effettivamente se la dottrina sociale della chiesa perde la sua originaria composizione, così come l’evangelizzazione con l’Annuncio di Cristo perde la sua stessa anima e diventa un manuale di buon comportamento sociale, che è un po’ poco per la dottrina sociale della chiesa, un po’ riduttivo.
Quale deve essere oggi il ruolo dei cattolici che fanno politica, in aiuto e sostegno sia del magistero del Santo Padre, sia di tutta la dottrina sociale della chiesa?
Questa è una domanda molto complessa. I cattolici che si impegnano in politica devono tener conto della totalità del magistero e non solo di alcuni pezzi, e devono tener conto che la dottrina sociale della chiesa stabilisce comunque delle priorità, delle priorità ineludibili, verso le quali non ci sono sconti, non si può giungere a compromessi. Ci sono invece altri ambiti d’impegno in cui è possibile il confronto, la discussione e la decisione di coscienza. In altri termini ci sono i famosi principi non negoziabili, di cui parla Benedetto XVI, come la vita, la famiglia, la libertà di educazione, la libertà religiosa che sono assolutamente imprescindibili; se cadessero la persona perderebbe la sua dignità e la sua centralità e si finirebbe nella deriva in cui la vittima ed il carnefice non sono più distinguibili.
Come deve comportarsi il cattolico rispetto ai valori non negoziabili?
Non può assolutamente violarli, a costo di rinunciare alla vita politica. Non può neppure appoggiare partiti che abbiano nei loro programmi tematiche di questo genere. Dall’altra parte però c’è tutta la vasta gamma di quei valori positivi, che indicano le cose buone da fare, e dunque uno spazio per la creatività, per la scelta di coscienza, per il confronto: ad esempio un tema come l’aborto o un tema come la lotta alla povertà non sono equiparabili, poiché il tema dell’aborto indica un valore non negoziabile, indica un assoluto negativo, una cosa che non si deve mai fare, mentre la lotta alla povertà è un indicazione positiva di un bene raggiungibile, di un bene doveroso, che però si può raggiungere attraverso politiche diverse e lì c’è tutto lo spazio per la discrezionalità, per le scelte.
Ci sono spiragli positivi, anche in confronto con il primo Rapporto?
Nei confronti con il precedente rapporto c’è la positività di tante forme eroiche di presenza, che sono continuate anche nel 2009 e che vedono i cristiani spesso minacciati e indifesi, anche se resistono in situazioni difficili, specialmente in Asia. A questo fa da contrasto la stanchezza di un cristianesimo occidentale che spesso invece, seduto sugli allori, è privo di spinta e di dinamismo. Quindi il rapporto segnala di positivo la nascita di un Cristianesimo positivo, combattivo, magari in minoranza, come in Asia, con suore e preti che si mobilitano a difesa della libertà religiosa, con gruppi ed organizzazioni cattoliche e che soffrono la persecuzione, perché si impegnano a favore degli ultimi, specialmente in Pakistan, in Bangladesh, in India.
Insomma è qui dai noi che la situazione si è fatta difficile
E’ sconfortante dirlo ma è così, in Occidente si assiste a un cristianesimo sempre più remissivo e che si fa un po’ cogliere dalla convinzione che il processo di secolarizzazione sia inarrestabile e che non ci sia niente da fare. Un cristianesimo che rischia di essere perdente in partenza perché poco convinto, nonostante in tutto il mondo ci siano minoranze creative molto impegnate ed il rapporto le descrive con grande attenzione e come un segno di speranza.
Cosa fare per ridare al Cristianesimo quella valenza pubblica, etica e morale che sembra indebolirsi?
La rievangelizzazione dell’Occidente passa prima di tutto attraverso un recupero dei cristiani e del significato storico e pubblico della loro religione, altrimenti la religione rimarrà sempre un fatto privato, ma la religione come fatto privato è proprio uno dei riassunti della secolarizzazione dell’occidente.