In Paese gli volevano tutti bene ma qualcuno ha ucciso il povero Candido

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In Paese gli volevano tutti bene ma qualcuno ha ucciso il povero Candido

12 Dicembre 2010

Pubblichiamo un estratto del romanzo Il sangue di Montalcino. Una indagine del Commissario Cosulich, scritto da Giovanni Negri, giornalista e scrittore, che produce Barolo, Chardonnay e Pinot Nero a Serradenari, nelle Langhe piemontesi.

L’autore è stato segretario del partito radicale, parlamentare italiano ed europeo, fondatore dell’Osservatorio laico. Esordisce con un giallo nella prestigiosa collana editoriale "Stile Libero" di Einaudi, inventandosi un’originale figura di Detective alla prese con il mondo del vino, due elementi, la giallistica e il vino, che l’Italia negli ultimi anni ha saputo esportare con successo.

"Questo è un ottimo giallo d’annata – ha detto Carlo Lucarelli dell’opera di Negri – si consiglia di berselo tutto d’un fiato". Seguiamo il commissario Cosulich sulla scena del crimine, davanti al cadavere del povero Candido, un uomo che in Paese era benvoluto, ma forse non così tanto.

***

Cosulich pensò che è sempre così, sembrano dei fagotti abbandonati. Scarponcini sporchi di fango di chi è abituato a lavorare in campagna, pantaloni di velluto blu sgualciti, felpa di un rosso sbiadito con il marchio sportivo in bella vista, il corpo del povero Candido pareva più piccolo del normale. Il volto di un pallore se possibile più algido, freddo della luce rarefatta che lo illuminava a metà.

“Cosa dice il medico legale?”, chiese Cosulich chinandosi sul capo reclino, senza toccarlo.  “La traccia sul collo lascia pochi dubbi – rispose il Maresciallo – più che una corda deve essersi trattato di un laccio di questi nuovi materiali sintetici, sembrano cordini ma tirano il collo come alle galline..”.
Cosulich si rimise in piedi, arretrò di un metro e osservò la scena. Almeno in apparenza nessuna colluttazione. Tutto perfettamente a posto. Si portò ancora più indietro e gettò lo sguardo in controluce verso l’ingresso, scrutando il pavimento. Ecco, ci avrebbe giurato. Un po’ di fango secco, troppo secco e distanziato a più riprese. Ci avrebbe pensato la Scientifica ma ne era certo. Il corpo era stato trascinato fin lì e buttato fra i banchi. L’Abbazia non era probabilmente il luogo del delitto, consumato altrove e chissà quante ore prima.

Cosulich attraversò il colonnato, analizzò il cadavere di Candido da diversi punti di vista, finchè l’occhio gli cadde sulla targa incastonata nel banco, ai cui piedi giaceva la vittima: “Antonio e Maria Tamanti”. Estrasse il taccuino, annotò il nome. Non si sa mai… Era l’abc dell’investigatore. Forse un vecchio rancore di famiglia, una vendetta, nella sua carriera ne aveva viste mille di faide….Alzò gli occhi sulla parete alle spalle della quarta colonna, di fronte al corpo senza vita di quello che era “uno degli enologi più famosi del mondo”, come al ministero si erano affrettati a spiegargli.

Un affresco raffigurava un uomo, probabilmente un pastore, con indosso una tunica verde sbiadita e un mantello giallo. L’uomo, forse un santo, aveva sulla spalla un bambino con la mano sinistra aperta a reggere una sfera, una palla, forse la Terra, sovrastata da una croce infissa nel punto più alto, in una sorta di Polo Nord del corpo celeste. All’improvviso realizzò di stare in un luogo carico di secoli e misteri, forse di orrori, odii, lotte spietate. Guardò all’ingresso come a cercare una via di fuga, ma uno splendido leone in pietra calamitò la sua attenzione: un animale fiero, posto a guardia di un luogo sacro.

Il commissario si chinò ancora, il volto di Candido pareva immerso in un sonno lieve, appoggiato sul cotto del pavimento, senza alcuna traccia di sangue e sino a lambire la base della colonna. Poco più avanti, sulla sinistra, il confessionale pareva interrompere l’armonia sobria di un’architettura essenziale.

Tutto incuteva raccoglimento. Il tetto con le travi in legno, il Cristo crocefisso sulla parete al fondo, l’altare a stento illuminato da esili candele e decorato di fiori bianchi, la fonte battesimale all’ingresso che prima non aveva notato, la scultura della Madonna di Sant’Antimo dinnanzi alla quale si fermò. Scuola umbra, scultura policroma del XIII secolo.

“C’è tutto, sembra non abbiano preso niente – ruppe il silenzio il carabiniere – I frati vogliono controllare ma l’unico vero danno dicono che è quello al portone di ingresso, che è stato forzato per entrare, chissà a quale ora..E non c’è stato bisogno di un grande attrezzo. Il portone è vecchio come Matusalemme, qui dentro è tutto vecchio, vero Commissario?”.

Cosulich abbozzò un sorriso. “Va bene, faccia passare solo la Scientifica e il medico legale. Attenzione a quel fango sul pavimento, voglio sapere se è uguale a quello sulle suole del poveretto. Entro questa sera le sarò grato di un rapporto completo sull’accaduto e su questo Candido…”.

“Viveva qui da quasi vent’anni – disse in un soffio il Maresciallo – anche se era originario di Cormons, in Friuli. Gli volevano tutti bene, sa. Un uomo onesto, nessuna voce sul suo conto, nessun nemico, per quanto ne sapevamo noi..”.

“Ogni delitto è fatto di gente normale – tagliò corto Cosulich – tutti crediamo che i protagonisti dei fatti di sangue siano personaggi da film, poi scopriamo che il crimine accade al vicino di casa, quello normale che più normale non si può…”. 

I due uomini varcarono il portone uscendo all’aperto, un ulivo riempì il loro sguardo. Alle spalle la collina giocava a nascondino con una nebbia sottile.
“E i frati, che mi dice dei frati?”. Il Maresciallo allargò le braccia: “Santi uomini, commissario. Sentisse che canti gregoriani, che intonano. Le preghiere, poi..I turisti tedeschi vengono apposta e restano incantati, all’alba ed al vespro. Io li conosco uno ad uno, ci metterei la mano sul fuoco, vivono in povertà ed è già un miracolo che riescano a gestire questa struttura, perchè vista così è una meraviglia, ma sa quanto lavoro…”. Cosulich annuì e cedette al suo vecchio vizio di distogliere lo sguardo e alzare gli occhi sopra il suo interlocutore. Lo colpì il capitello della colonna, accanto all’entrata dell’Abbazia. Era una sorta di figura mostruosa, due animali con un’unica testa dalle orecchie aguzze e i denti sporgenti. Lo pensò: metà santa metà demoniaca, come questa bella mattinata. Fin da ragazzo se ne era convinto: tutto ciò che è santo è anche un po’ demoniaco.

Cosulich aveva infilato le mani nelle tasche del soprabito, non aveva degnato di uno sguardo i curiosi, si era fermato dal piccolo gruppo di frati pregandoli di tenersi a disposizione per il pomeriggio, aveva lasciato il numero del suo cellulare al Maresciallo e al medico legale. Ora non gli restava che attendere un pugno di ore. Mastrantoni avrebbe rivoltato la vita di Candido come un calzino, i carabinieri di zona passato al setaccio dati, informazioni, pettegolezzi, il medico legale stabilito modalità e ora del decesso, la Scientifica esaminato al microscopio il corpo, gli abiti e la casa del poveretto, nonchè frugato ogni angolo dell’Abbazia.

Così Cosulich aveva percorso all’indietro la strada, e li aveva avvistati. Con sorriso entusiasta un cretino veniva verso di lui, accompagnato da un tipo con la telecamera in spalla. Dietro, li seguiva un gruppetto di pennivendoli a caccia di dettagli.

Li squadrò e credette di riconoscerne qualcuno. C’era di sicuro quello della Nazione, forse il solito dell’Ansa, certo non potevano mancare Repubblica e il Corriere. Cosulich aveva affrettato il passo, si era infilato nell’Audi e via, la macchina aveva vagato giungendo per qualche miracolo fino alla meta, che era apparsa all’improvviso, insperata. Una modesta, vecchia osteria trovata per caso, dove raccogliere i pensieri.

Era entrato sfuggendo alla pioggia divenuta implacabile e contento di essere solo con i suoi dubbi. Si era messo a un tavolo di lato, troppo grande per la sua solitudine e continuo crocevia della cameriera dall’ampio sedere che ciondolava con l’eleganza di un pendolo antico, al ritmo della mezzaluna che tanti anni prima tritava la cipolla sul tagliere.  Un sedere solenne, imponente come i pentoloni della cucina affondata nei suoi ricordi d’infanzia.

Il vecchio menù plasticato e ingiallito elencava le cinque cose che in Toscana uno si aspetta. Cosulich aveva scelto la Ribollita e apprezzato il calore che lentamente tornava a farsi sentire. Aveva incominciato a pensare, anche a pensare a casaccio , come faceva sempre. Si immerse nel conforto del piatto mentre in testa gli frullavano cento domande, infine posò il tovagliolo. 

“Caffè, commissario?”. Cosulich sussultò, sentì la pioggia battere sui vetri della vecchia osteria. “No grazie, il conto”.

Quando ci sono dei morti le voci corrono, nel giro di un’ora già tutti sapevano.
Era lui il commissario. Lui l’uomo robusto, un po’ grosso, che infagottato in un soprabito grigio era sceso lungo la strada di ghiaia per andare a vedere il morto.
Lui l’autorità designata che i poveri frati avevano interrogato con occhi smarriti, i primi di una lunga serie che presto gli avrebbero chiesto perchè.
Perchè quel cadavere imbarazzante e impossibile, perchè quel corpo senza vita abbandonato fra i banchi dell’abbazia, perchè quell’uomo benvoluto da tutti nel minuscolo borgo dove aveva vissuto, dove lo avevano ucciso.
Il commissario Cosulich non aveva fatto in tempo a pagare il conto per capire che il suo anonimato era finito. Persino per l’oste, e per la cameriera dall’ampio e solenne deretano, lui era già il Commissario. L’uomo del Caso Candido.

Tratto da Giovanni Negri, Il sangue di Montalcino. Una indagine del commissario Cosulich, Einaudi Stile Libero 2010

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