In Piemonte tra cattolici e centrodestra c’è un accordo senza inciuci

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In Piemonte tra cattolici e centrodestra c’è un accordo senza inciuci

05 Marzo 2010

Che cosa è la politica? La nobile arte di amministrare la polis, vale a dire la città (plurale per definizione) dell’uomo, affinché essa sia vivibile, abitabile, armoniosa, decent (come dicono gli statunitensi) e costruttiva del bene comune dei suoi. Il quale non è la mera e talvolta becera somma di tanti beni individuali conchiusi in se stessi e giustapposti l’uno all’altro, ma l’insieme del bene delle persone secondo una logica superiore che non è solo un vuotamente kantiano “io penso” ma che pure non rigetta, anzi, il bene del singolo. Quel bene del singolo infatti il bene comune lo potenzia, lo nobilita e pure lo sublima. Tanto che, se perdonate l’espressione, ci sta pure un sano “egoismo illuminato” in cui il bene della società coincide con quello dell’individuo se quello dell’individuo è il bene della persona.

Come si raggiunge tale scopo nobilmente politico? Avendo ben chiaro cosa è la persona umana e cosa è quell’insieme non meramente matematico di persone che è la società.

E come si raggiunge tale chiarezza? Con la coscienza che la libertà è cosa responsabile e che la società delle persone, per stare assieme ma soprattutto in piedi, abbisogna di regole chiare e distinte, norme precise, insomma paletti. Perdonate la spocchia di questo “bigino” scritto quasi in formula di Frequently Aked Questions, ma il discorso enorme e importante sui “princìpi negoziabili” solo questo è.

Il mercato è una cosa fantastica: il luogo dove ci si scambiano cose in modo libero e trasparente, alcune più preziose e altre meno, fra mercanti, cioè tra persone libere e responsabili che entrano la piazza del commercio allora sì davvero equo e sul serio solidale portandosi seco quel che sono, le loro storie, la loro forma mentis e appunto i loro valori, dotati, questi ultimi, di un prezzo in cui si assommano costi di produzione e guadagno del singolo. A monte ci sono i principì, anzi appunto essi stanno in principio, all’inizio, dietro di essi non vi altro, si pongono in modo sorgivo, non derivano cioè da alcunché prima e invece hanno dei derivati. I princìpi non si portano in piazza al mercato perché non hanno prezzo e perché non si scambiano, laddove la compravendita la si può, e talora la si deve, fare con i valori (ciò a cui diamo un valore), con i beni (ciò che per noi è buono), con le merci (goods, ancora il bene) che ne derivano.

Ecco perché i princìpi-paletto della politica per l’uomo in vista del bene comune si chiamano “princìpi non negoziabili”, formula, questa, che è un’endiadi retorica (uno sdoppiamento di concetto fatto con buona retorica) di valore rafforzativo.

In questo quadro, le elezioni sono un patto non scritto ma altamente vincolante fra cittadini e personale politico e amministrativo, ossia una delle forme in cui, in ambito istituzionale repubblicano, i cittadini esercitano parte della propria libertà politica, esprimono parte del proprio gradimento della politica e dell’amministrazione (il consenso), e determinano parte del proprio legittimo e doveroso condizionamento sia della politica sia dell’amministrazione. Ovvio, quindi, che quel patto venga suggellato sulla base di quelle norme atte a garantire il bene comune, dunque quello della persona e del singolo: e se non su ciò che fonda, regola e misura la politica su cosa altro dovrebbe essere stretto un accordo così?

Ebbene, in vista delle elezioni regionali prossime venture, accade che in Piemonte, l’on.le Roberto Cota, candidato del Centrodestra alla presidenza appunto della Regione Piemonte, abbia appena pubblicamente sottoscritto il Patto per la vita e per la famiglia, ovvero il documento vincolante a difesa della vita umana nascente e della famiglia naturale scritto e proposto da un pool di associazioni del mondo cattolico, del mondo pro-life e del mondo pro-family della regione subalpina gravemente preoccupati della posta in gioco in loco, ma anche a livello nazionale, e decisi a fare qualcosa di assolutamente serio e concreto e subito affinché la polis sia davvero una città dell’uomo e per l’uomo. La propria firma Cota la apposta in presenza di garanti, che non se ne avranno certo a male se qui li definisco “mastini”. Perché si sa come vanno a finire queste cose, uno firma, applausi, flash, comunicati per la stampa, elezioni, e poi passata la festa gabbato lo santo. Invece no: Mauro Ronco (ordinario di Diritto penale all’Università di Padova, già componente del Consiglio Superiore della Magistratura), il sociologo delle religioni Massimo Introvigne (viceresponsabile nazionale di Alleanza Cattolica), Marisa Orecchia (presidente di Federvita Piemonte, che riunisce 70 movimenti e associazioni antiabotiste) e Maria Paola Tripoli (storica figura del volontariato torinese e vicepresidente del Consiglio Regionale del Volontariato) sono di quelli che vegliano assiduamente, ci si giocano in prima persona, non lasceranno sfuggire una virgola.

Dice Cota che, «ho preso atto di appelli sugli stessi temi provenienti dal Forum delle Associazioni Familiari, da Due Minuti per la Vita e da altri», e quindi «con tutti sottoscrivo un patto per la vita e per la famiglia: non generico – perché è facile parlare di vita e di famiglia come concetti astratti, senza precisare in concreto che si tratta della vita dal concepimento alla morte naturale e della famiglia monogamica ed eterosessuale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna – ma specifico e articolato in impegni precisi». Questi: «Considerando che un aborto non è mai una vittoria per nessuno ma è sempre una sconfitta, m’impegno per quanto riguarda le competenze regionali di applicazione della  legge 194 a proporre e sostenere percorsi di aiuto concreto e fattivo alle donne che, anziché banalizzare l’aborto come soluzione, cerchino sempre possibili alternative, aprendo le istituzioni regionali anche alla  collaborazione con il volontariato pro-vita. In applicazione della stessa legge, se in Piemonte dovrà essere somministrata la pillola RU486, questo potrà avvenire solo con un protocollo che preveda il ricovero della donna dalla somministrazione della pillola fino al completamento del percorso abortivo, escludendo ogni ipotesi di aborto fai da te a casa propria». Poi: «la vita è veramente e pienamente vita fino alla morte naturale, come ho cercato di testimoniare con il mio impegno in Parlamento in occasione della tragica vicenda di Eluana Englaro e nella discussione di progetti di legge sul fine vita. Per essere ancora più chiaro, il modello virtuoso per me è quello umile, silenzioso ed eroico del quotidiano impegno delle Suore Misericordine che hanno assistito Eluana per farla vivere, non quello di chi – per citare il documento di Federvita – “ha offerto un ospedale piemontese per farla morire”. Respingendo nel modo più deciso ogni ipotesi di eutanasia, la Regione da me guidata sarà vicina con un sostegno non solo teorico alle famiglie di malati nella condizione oggi chiamata stato vegetativo persistente, e sosterrà per quanto di sua competenza le cure palliative». Quindi, dice sempre Cota, «rifiuto con chiarezza ogni ipotesi di omologazione della famiglia fondata sul matrimonio, a norma dell’art.29 della Costituzione, a ogni altra forma di convivenza anche omosessuale. Sono contrario a cerimonie, registri e altre iniziative che introducano surrettiziamente un’equiparazione tra unioni omosessuali e matrimonio monogamico ed eterosessuale». Infine, afferma Cota, «m’impegno a una politica regionale a favore della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, che riconosco come cellula fondamentale della società, attraverso il sostegno alle giovani coppie che intendono contrarre matrimonio e una politica dei servizi che tenga conto del carico familiare e del numero dei figli».

È la prima volta che chi in Italia si candida a governare una Regione sottoscrive un documento così preciso in tema di vita e famiglia e il “caso Cota” costituisce un esempio di un modo di fare politica “sulle cose” che riporta alla mente precedenti virtuosi. Anzitutto l’Unione Elettorale Cattolica Italiana, la quale, dal 1906 al 1913, fu un modello d’impegno politico unitario dei cattolici in una società pluralista e fuori dallo schema strettamente partitico. Essa impegnò i candidati elettorali su punti precisi, i “principi non negoziabili”, e face poi seguire verifica puntale del loro operato. Nacque infatti dall’impegno politico della UECI il famoso “Patto Gentiloni”, così detto dal cognome del presidente appunto della UECI, il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni (1865-1916), il quale trattò, a nome del mondo cattolico, con il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti (1842-1928) in occasione delle prime elezioni politiche a suffragio universale maschile, svoltesi nel 1913. Il risultato fu un intelligente ingresso dei cattolici nella scena politica italiana e un’alleanza non banale con gli esponenti più illuminati, e autenticamente interessati al bene comune non come somma d’interresi individuali, provenienti dal mondo liberale di allora, il tutto in efficace funzione antiprogressista e antimodernista. Quindi, la Fédération Nationale Catholique del generale Edouard de Curières de Castelnau (1851-1944), fondata nel 1925, e la Lega Elettorale Cattolica Brasiliana, attiva tra il 1932 e il 1937. E non è che i conservatori organizzati degli Stati Uniti di America in think tank, associazioni, periodici e movimenti agiscano poi in modo tanto diverso con qui candidati politici che, se sottoscrivono patti chiari e amicizia lunga, dopo guadagnano l’endorsement.

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