In politica anche la “sobrietà” è un calcolo di immagine (e di business)
01 Luglio 2009
di Daniela Coli
Per essere un vero statista Silvio Berlusconi dovrebbe indossare un cappotto rivoltato come quello di De Gasperi? James Harding, il direttore del Times, autore di Alpha Dogs: the Americans who turned Political Spin into a Global Business, risponderebbe che ai tempi di De Gasperi l’Italia era appena uscita dalla guerra e De Gasperi col cappotto rivoltato, come facevano allora gli italiani, era un ottimo attore e regista di sé, oppure aveva un buon consigliere.
D’altronde, i consiglieri politici – osserva Harding – esistono fin dai tempi dei Tudors. L’Italia del 2009 non è quella del ’48, tra poco perfino gli americani guideranno una Fiat, il Cav. sta per presiedere un importante G8 e se arrivasse con un vestito logoro, sarebbe uno scandalo internazionale. Berlusconi sa di piacere così com’è agli italiani e non ha alcuna intenzione di cambiare, di abbondare il tacco rialzato, il fondotinta – usato anche da Gordon Brown, più volte fotografato a ritoccarsi il trucco – né di cessare di essere sé stesso. Attente ricerche del prestigioso Hedgehog American Institute consigliano però al Cav. un look degasperiano, se vuol diventare un perfetto statista e non passare alla storia come un imperatore romano. James Harding potrebbe spiegare ai cervelli del HAM che già Gladstone e Disraeli avevano consulenti d’immagine e già prima della seconda guerra mondiale in Gran Bretagna si facevano sondaggi di opinione. Dopo il ’45, per Harding, la democrazia è diventata però il prodotto americano più esportato nel mondo e nel secondo dopoguerra anche il global business più importante degli Stati Uniti, con spin doctor in azione in ogni paese. Mentre la televisione diventava sempre più importante per gli americani, mentre i creativi stile Mad Men, negli anni Sessanta, inventavano la pubblicità e cambiavano il modo di vendere i prodotti, il Sawyer Miller Group diventò l’impresa più influente della politica statunitense, interna ed estera. Da Richard Nixon a Barack Obama non vi è stata campagna presidenziale, nella quale gli spin doctor non abbiano lavorato nel retrobottega a consigliare al candidato cosa dire, come dirlo, come vestirsi, come gestire il body language, più importante di qualsiasi retorica. Il Sawyer Miller Group nacque ad opera di un nobile del New England, David Sawyer, che voleva fare il produttore cinematografico e di Scott Miller, figlio di un venditore di scarpe e abile copywriter. Diressero campagne politiche in tutto il mondo, dalla Filippine al Cile, facendo eleggere presidenti e primi ministri graditi agli States, senza contare l’introduzione di campagne “etiche” in giganti come la Coca Cola e Apple. Lavorarono per Shimon Perez in Israele, per Cory Aquino nelle Filippine, per Mario Vargas Llosa in Perù, forse l’unico insuccesso, ma anche in Venezuela, a Panama, in Columbia, in Russia e Ucraina. Un loro socio, James Carville “creò” Bill Clinton e anche Blair, com’è noto, ebbe il suo spin doctor. Secondo James Harding, i politici, come i partiti, perdono autorità nell’età dei media. I leaders devono conversare con l’elettore, devono corteggiarlo e incoraggiare chi investe denaro in loro. Il rivale del Sawyer Miller Group, Karl Rove divenne il guru di George Bush e più abile di loro, in genere sostenitori di candidati di sinistra, e fece vincere un presidente di destra. Negli States il fenomeno, per Harding, può diventare inquietante, perché un presidente può essere totalmente costruito per interessi occultati ai cittadini dai finanziatori della sua campagna elettorale. Un presidente americano può anche diventare, dunque, soltanto un uomo-immagine, al servizio di potenti lobbies.
Un pericolo che non corre l’Italia col supermiliardario Berlusconi, un imprenditore che conosce i media, si è presentato in modo nuovo agli italiani rispetto ai politici della prima repubblica e ha fatto parlare l’intellighenzia di rivoluzione mediatica totalitaria, per non parlare dei libri sul “corpo di Berlusconi” o sul “monarca Berlusconi”. In Europa, un altro leader tutt’altro che uomo-immagine è Sarkozy, il Berlusconi francese, come viene definito da chi lo accusa di volere rimonarchizzare la Francia. Sarkozy è un politico di professione, ma quando ha deciso di diventare presidente ha messo al centro dell’attenzione dei francesi la vita privata. La gente ormai è scafata, è stanca di comizi, di grandi castelli di parole, di concioni intellettuali, vuole fatti, uomini e donne con problemi simili ai loro. Il carisma è qualcosa che si ha o non si ha. Sarkozy non nasconde il dolore, quando la moglie Cecilia lo lascia la prima volta, senza timore di essere preso per l’abbandonato e per questo ha carisma. La riconquista di Cecilia diventa una parte importante della sua immagine durante la campagna elettorale. L’uomo piace alla Francia: da una parte il ministro dell’interno con la sfida alla canaille nella banlieu in fiamme, dall’altra il marito vulnerabile, ma partito in quarta a riconquistare la sua donna. Un po’ Jean Gabin-Maigret, un po’ guascone alla Belmondo, un po’ gigione alla Yves Montand. Alla seconda e definitiva botta di Cecilia, reagisce, fidanzandosi con Carla, il corpo più fotografo del mondo: nuda, nudissima, raffinatissima. Italiana, ma deliziosamente francese, presentatagli da un amico pubblicitario, Sarko si fidanza subito con Carla e va in Egitto a vedere le piramidi. Col bimbetto di lei sulle spalle, Sarkò e Carlà girano l’ennesima versione di Un uomo, una donna di Lelouch. L’opposizione ne dice di tutti i colori, ma alle recenti elezioni europee Sarkozy esce vittorioso e la sinistra francese distrutta. Sarkozy fa politica alla grande, non ha bisogno di stuoli di intellettuali sarkoziani che scrivono di volere rifare i francesi, che si arrabbierebbero assai, se a qualcuno venisse in mente di rifarli. Sarkozy è bruttino, porta il tacco rialzato, ma si comporta come se fosse bello: è sicuro di sé, se ne infischia del mondo, ha alti e bassi, reagisce spontaneamente, almeno apparentemente: questo è carisma e questo piace ai francesi.
Lo stesso potremmo dire di Berlusconi, odiato da chi gli rimprovera di non comportarsi come De Gasperi o come Berlinguer, sempre abbronzato, disinvolto, giocoso, battutaro, viene definito gaffeur dalla sinistra bisbetica, ma riesce ad avere amici dovunque, fa politica in un modo nuovo, è un leader nuovo. La stessa sinistra si berlusconizza, Prodi va a lezione dizione, arruola uno spin doctor americano che gli consiglia il pullman, affetta mortadelle, esibisce anche lui la famiglia, la sua storia privata. Berlusconi vince e piace agli italiani, anche quando gli vengono rovesciati addosso gossip di ogni tipo, perché, come Sarkozy, è una storia italiana. Regala agli italiani il sogno di diventare ricchi, senza essere nati ricchi, lavorando, cantando perfino sulle navi da giovane. È l’Italia del miracolo italiano, quella che negli Sessanta e Settanta da contadina e operaia è diventata borghese.
La crisi economica globale, i problemi con gli immigrati, una strana guerra asimmetrica, l’impero americano in crisi: tutto questo non si risolve con un nuovo romanzetto della storia, un nuovo castello di parole. Gli italiani, come i francesi e gli inglesi sanno che la crisi non passerà con una nuova ideologia. Dovranno rimboccarsi le maniche. Le parole non bastano. La politica e la storia è come la vita. Gli uomini e le donne del 2000 sono troppo navigati per credere alle favolette di quelli che vogliono rifarli, inglobarli in un nuovo progetto, anzi in nuovo romanzo della storia. Sono stanchi delle vicende dei partiti, dove si lotta a suon di “valori non negoziabili” per conquistare rendite, preferiscono il calcio e perfino il gossip. L’italiano medio ha sufficienti mezzi per andare su google, leggere giornali online, blog, forum, e farsi un’idea di quanto accade, per questo la figura dell’intellettuale tradizionale, che “forgiava” la mente collettiva, il partito, non ha più alcun senso. La sinistra è in crisi profonda, perché non sa rispondere a temi come l’immigrazione, e di inglobare nuovi italiani all’elettore che votava a sinistra interessa poco. Il caso Prato è paradigmatico: dopo 63 anni di sinistra, Prato cinesizzata è passata al centro destra, mentre le università di Siena e Firenze, la culla dell’intellighenzia, rischiano la bancarotta. Il nuovo assessore alla cultura di Matteo Renzi è Carla Fracci, una grande ballerina, non una politologa. Questo dovrebbe dire qualcosa a chi ancora crede al mito dell’intellettuale forgiatore di mentalità collettive.
È vero che destra e sinistra non funzionano più, sono scatole vuote, ma ch lo sostine poi sbaglia a voler di riempire questa crisi della politica con una retorica habermasiana, rusconiana, mischiata a un cocktail di Gentile, Gramsci e Pasolini, con uno spruzzo di Prezzolini e Aron, solo in nome dell’essere “nuovi”. Viviamo un’epoca tutta nuova ed occorre guardare avanti, non indietro senza troppe maschere. Per Sergio Luzzatto, storico della rivoluzione francese, i Sarkozy stanno rimonarchizzando la Francia, ma forse ai francesi, che hanno visto Nicolas e Carla in jeans in vacanza in Egitto, a vedere le piramidi, col bimbetto sulle spalle, non sono sembrati due sovrani. Sono sembrati una coppia francese in gita, con un passato alle spalle, con la voglia di essere ancora felici: appunto, un uomo, una donna. Può darsi sia tutta scena, ma quando il monarca è il vicino della porta accanto, Cesare è lontano. E difficili sono gli abusi di potere, il culto della personalità, quando la vita del presidente è sotto gli occhi di tutti, si possono udire tutte le sue frasi, perfino fotografare gli ospiti che prendono il sole nella sua casa al mare e spettegolezzare, perché, sia sa, l’erba del vicino è sempre più verde.