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22 Marzo 2007

Più imposte mentendo sul deficit, meno sgravi per colpa della poca crescita.

A Jacopo faccio notare che secondo la relazione trimestrale di cassa appena presentata dal ministro Padoa-Schioppa, il totale delle entrate pubbliche sul Pil ha raggiunto il 46,5% nel 2006, e se ne prevede un incremento ulteriore nel 2007, ma contenuto in un solo decimale di punto ulteriore: accetto scommesse, sul fatto che l’aumento sarà di un multiplo molte volte superiore al previsto, vista la batteria di aggravi fiscali e contributivi disposta in finanziaria. Per avere un’idea delle serie storiche e di come sinistra e destra hanno in questo pesato, ricordo che il massimo venne raggiunto con la sinistra nel 1997, quando le entrate assommarono al 48% del Pil. Negli anni del governo Berlusconi, le entrate sono scese dal 2002 al 2005 al 44,4-44,5% del Pil. La differenza si apprezza da sola: e poichè sono le aliquote marginali e medie ad esercitare un effetto sulle scelte degli operatori economici e non viceversa, è evidente che la scelta di diminuire la pressione fiscale ha avuto essa il merito preminente di non aggravare la stasi della crescita italiana prima – dopo il 2001 – poi – dal 2005 – di sostenere e rafforzare le basi di ripresa della crescita stessa. E infine di ampliare il gettito quando la ripresa è divenuta, appunto, di nuovo vicina al 2% come nel 2006.

Quanto alla stima dell’extragettito, si tratta di intendersi. Fino alle stime del gettito raccolto nei primi 10 mesi del 2006 – le ultime comprese nella documentazione contabile predisposta dal governo a corredo delle ultime votazioni della finanziaria e della legge di bilancio – l’esecutivo – malgrado che i dati fino a ottobre compreso fossero ormai inoppugnabili – ha sottostimato l’aumento di entrate rispetto al 2005 di ben 23 miliardi di euro.

L’ex viceministro dell’economia Baldassarri giustamente chiese al Capo dello Stato di richiamare ufficialmente il governo all’innegabile falso contabile così compiuto. In senso tecnico, al contrario, viene considerato extragettito solo ciò che supera la soglia delle entrate stimate attraverso la rielaborazione trimestrale della contabilità pubblica curata dal Tesoro, aggiornata appunto alla luce dell’andamento dell’economia e del gettito raccolto, al netto dell’ultima precedente previsione d’entrata, e considerando infine come ammontare esclusivo quanto viene stimato dall’amministrazione e dal governo come "accertato maggior gettito di carattere strutturale".

E’ esattamente facendo ricorso all’intera batteria di questi criteri discrezionali – soprattutto l’ultimo, che cosa sia strutturale e che cosa invece congiunturale – che la trimestrale appena presentata conclude che l’extragettito sul quale far conto nel 2007 sia non oltre gli 8 miliardi di euro, uno 0,5% del Pil. Ma, aggiunge subito dopo il documento, l’evenienza che la crescita italiana 2007 deluda le aspettative dovrebbe indurre a indirizzare anche questo mezzo punto alla riduzione del deficit e non a spesa aggiuntiva, tenuto conto che in ogni caso un ammontare pressochè equivalente sin d’ora viene quantificato da Padoa-Schioppa come necessario a correggere gli andamenti inerziali di spesa pubblica.

E’ ovvio – purtroppo – che la trimestrale non scriva affatto, che l’ipotesi di rallentamento della crescita italiana dipenda proprio dall’aggravio fiscale disposto in finanziaria. Col che si raggiunge la chiusura del cerchio per il tassatore perfetto: prima bisogna aumentare le imposte mentendo sul deficit tendenziale in corso d’anno, poi si nega l’opportunità di diminuzioni delle aliquote con la scusa che la crescita diminuisce e le entrate pure.

Faccio notare che oggi a Londra Gordon Brown ha presentato alla Camera dei Comuni il suo undicesimo budget annuale, l’ultimo, secondo tutti gli osservatori, prima che succeda tra poche settimane a Tony Blair nel ruolo di Primo Ministro, e alle prese poi con la decisione se anticipare le elezioni per avere conferma del proprio mandato oppure no, visto che il giovane leader dei Tory David Cameron al momento ha ben 15 punti di vantaggio nei sondaggi.

Brown ha deciso di stupire, con la sua finanziaria d’addio. Perché se l’accusa elevata a Brown dai quotidiani britannici di orientamento conservatore, come il Telegraph e il Times, è di aver troppo elevato la spesa pubblica in questi anni, e se la rivoluzione giovanilista imposta ai Tories da Cameron punta assai più su un rafforzamento delle politiche ambientali piuttosto che al ritorno a ricette thatcheriane, Gordon Brown invece ha scelto di deludere la aspettative di chi, come Anthony Giddens, aveva rilasciato interviste ai quotidiani di mezza Europa annunciando che l’era mercatista del New Labour è finita, e che occorre tornare a occuparsi della redistribuzione a vantaggio dei redditi più bassi.

Il Cancelliere dello Scacchiere, al contrario, ieri ha annunciato proprio nuove diminuzioni d’imposta. Tanto per le persone fisiche, che per le imprese. Nel primo caso, l’aliquota di riferimento per quasi la metà dei contribuenti britannici scenderà dal 22 al 20%, quella del 10% viene abolita, estendendo verso l’alto la “no tax area”, mentre quella marginale, del 40%, passerà da 38 mila a 43 mila pounds di reddito l’anno. Il che significa che l’area del maggior prelievo si restringe anche verso l’alto della scala sociale, e in ogni caso riguarda solo i cittadini con l’equivalente di 60 mila euro di reddito l’anno. Per le imprese, l’aliquota passa dal 30% al 28%. E l’economia continuerà a crescere tra il 2,5% e il 3% anche quest’anno, dopo più di 50 trimestri di crescita ininterrotta garantiti proprio dall’approccio mercatista del New Labour blairiano, costantemente sopra la media dell’Ue e figuriamoci poi dell’Italia.

La differenza rispetto all’impostazione fiscale del centrosistra italiano guidato da Romano Prodi è abissale. Le aliquote qui da noi sono state ritoccate nel loro complesso con effetti di aggravio per una soglia di reddito del contribuente anche quasi tre volte inferiore rispetto a quella interessata dal maggior prelievo nel Regno Unito. In più, la batteria di incrudimenti di obblighi fiscali, adempimenti e procedure disposti nella cosiddetta «lotta all’evasione», di cui anche ieri il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Massimo Romano ha dato esempio in Commissione Finanze del Senato, annunciando il raddoppio da 52mila a 100mila dei soli controlli annuali riservati ai soggetti interessati dagli studi di settore, cioè i lavoratori autonomi, i commercianti e gli artigiani contro i quali l’attuale governo ha dichiarato guerra, mentendo sul deficit tendenziale 2006 e disconoscendo fino a ieri che solo con imposte diminuite e non alzate, il gettito fiscale 2006 è esploso e la crescita italiana è ripresa.

Domani a Palazzo Chigi prende avvio il confronto con le parti sociali sul dividendo del modesto «tesoretto» fiscale indicato da Padoa-Schioppa. La furbizia del governo consiste nel mettere per l’ennesima volta categorie contro categorie, imprese contro imprese, sindacati contro datori di lavoro, proprietari di casa contro il resto del mondo, e pensionati contro tutti. Una classe dirigente seria, alla guida di una qualunque di codeste associazioni d’interesse, rifiuterebbe un simile divide et impera. Per chiedere, semplicemente, se si cresca di più e meglio con la sinistra fiscale del New Labour. O con quella dell’Old Communism.