In Russia i Tupolev corrono più della democrazia

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In Russia i Tupolev corrono più della democrazia

20 Agosto 2007

“Oggi 17 agosto alle ore 00.00 14 bombardieri strategici si sono levati in volo da sette basi sul territorio nazionale, assieme ad aerei da rifornimento”. Così Putin ha annunciato al mondo che la flotta russa ha ripreso i suoi voli permanenti a lungo raggio, mettendosi in condizione di raggiungere ogni regione del mondo e di sganciarvi missili nucleari. La gravità dell’annuncio è alquanto ridimensionata dal fatto che gli aerei in questione sono gli obsoleti Tupolev Tu-95 e Tu-160, e difatti il portavoce del Dipartimento di Stato americano McCormack si è limitato a dichiarare che “se la Russia desidera recuperare dalla naftalina alcuni suoi vecchi aeroplani per farli volare di nuovo, è affar suo”.

Le punzecchiature simboliche stile Guerra Fredda tra Cremlino e Casa Bianca sembrano tornate di moda, tanto che Putin ha dichiarato che “i nostri piloti sono stati troppo tempo in panchina, per loro comincia una nuova vita” e già ai primi di agosto due Tupolev hanno attraversato mezzo Oceano Pacifico per arrivare a sorvolare la base militare americana di Guam, dove sono stati intercettati dai caccia statunitensi e i rispettivi piloti si sono salutati come si usa dai tempi del Barone Rosso. Ma dietro tali gesti eclatanti, che bucano persino il disinteresse dei media italiani per le relazioni internazionali, si trovano fatti ben più importanti. Ad esempio, contemporaneamente al volo dei cacciabombardieri, Putin ha annunciato il divieto per il BBC World Service di trasmettere in Russia su frequenze FM, revocando la licenza alla stazione russa che traduceva e ritrasmetteva i programmi inglesi, Bolshoye Radio. Un articolo del Guardian del 18 agosto spiega come non si tratti di un fatto isolato né casuale: “Bolshoye Radio era l’ultima stazione radio russa associata alla BBC. Lo scorso Novembre è stato colpito un altro partner, Radio Leningrado (…) e una seconda stazione, Radio Arsenal, ha terminato le trasmissioni a gennaio del 2007.” Si tratta dunque da parte del Cremlino dell’ennesima violazione dei diritti civili, dell’ennesimo bavaglio alla stampa libera, dell’ennesimo colpo all’opposizione democratica russa per isolarla dal mondo occidentale. Prosegue il Guardian: “La principale stazione radio liberale russa, Ekho Moskvy, uno degli ultimi media in Russia che critica regolarmente il Cremlino, ha affrontato problemi simili con le sue licenze di trasmissione”. Un diplomatico italiano ha così sarcasticamente commentato la simultaneità del volo dei Tupolev e del divieto per la BBC: “ La Russia si sta avvicinando agli standard occidentali: per inquadrarli meglio nel mirino”.

È vero che oggi la Russia è un paese più libero e democratico rispetto all’epoca comunista, ma ciò non è così straordinario considerando che essa esce dal peggiore totalitarismo mai realizzato nel mondo. Inoltre il fatto che sia (più o meno) garantita la proprietà privata e che si svolgano elezioni (più o meno) regolari non è certo sufficiente per considerare la Russia una democrazia. Né la sua mancata disgregazione – con tutte le drammatiche conseguenze scampate quanto a guerre civili e rischi nucleari – è una consolazione sufficiente di fronte alle attuali politiche aggressive del Cremlino. Il problema per l’Occidente non è che la Russia avanzi le sue pretese come ogni altra potenza mondiale, ma il fatto che negli ultimi anni è avvenuto contemporaneamente da un lato il consolidamento economico, militare e politico russo, e dall’altro l’arresto e l’inversione del processo di transizione democratica. Il risultato, come ha notato la scorsa settimana sul Washington Post Robert Kagan, è il ritorno di un modello vincente di autocrazia tra le massime potenze mondiali, in primis a Mosca e a Pechino: “è riaffiorata l’antica concorrenza tra liberalismo e assolutismo (…) Russia e Cina si sono dotate di governi autocratici, che sembrano capaci di restare al potere anche negli anni a venire, con l’apparente approvazione del loro popolo”. Le elite russe e cinesi credono che l’autocrazia funzioni meglio della democrazia per garantire sicurezza, stabilità e crescita economica ai loro sterminati paesi, e si avvantaggiano nel giocare le loro carte in politica estera senza tutti i vincoli che le società democratiche pongono ai loro governi (rispetto dei diritti umani, avversione per le spese militari, azione dell’opposizione politica, ecc).

Che non si tratti solo di teoria accademica lo dimostrano fatti rilevanti nello scacchiere mondiale, come la crescita negli ultimi anni della Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO). Fondata proprio da Russia e Cina con altre quattro repubbliche ex sovietiche, si appresta oggi ad accogliere al suo interno Iran, India, Pakistan e Mongolia, che hanno attualmente lo status di osservatori. Lo scopo esplicito dell’organizzazione è coordinare e sviluppare le politiche degli stati membri per “costruire un mondo multipolare”, in primo luogo stroncando l’influenza occidentale ed in particolare americana dal continente asiatico. Nel 2006 la SCO ha fatto pressioni sull’Uzbekistan perché smettesse di ospitare una base militare statunitense, nel 2007 ha applaudito più volte i discorsi anti-israeliani di Ahmadinejad, e nelle settimane scorse ha messo in cantiere una grande esercitazione militare congiunta russo-cinese, ulteriore segno della cooperazione in atto tra le due potenze autocratiche.

Si assiste sulla scena mondiale al ritorno di una geopolitica estremamente realista, dopo la fase più idealista degli anni ’90. Un ritorno che smentisce gli ottimisti alla Fukuyama che si illudevano sulla “fine della storia”, i pacifisti convinti che le solenni dichiarazioni dell’Onu servano davvero a mantenere pace e sicurezza, i no-global che si preoccupavano di quanto la globalizzazione avvantaggiasse l’Occidente e sfruttasse il Terzo Mondo. La globalizzazione, e la conseguente fame le materie prime, permette oggi ai maggiori paesi asiatici (Russia, Cina, India, Iran) di competere a livello economico, politico e militare con le potenze occidentali, ognuno con le sue ambizioni e i suoi asset su cui puntare – i lavoratori schiavizzati di Pechino piuttosto che il gas naturale di Mosca. Immagine plastica della nuova competizione è la foto di Angela Merkel e del premier danese Rasmussen in Groenlandia, impegnati ad affermare i diritti di Copenaghen (e quindi gli interessi di Berlino) sul Polo Nord e le sue immense risorse dopo la missione russa. Sempre in risposta alla mossa di Mosca intanto il premier canadese, riporta Le Figaro del 17 agosto, “è partito per un tour di tre giorni nel Grande Nord, a conclusione delle più grandi manovre militari mai organizzate dal Canada nella regione”. Un quadro che evoca fortemente la corsa alla spartizione dell’Africa tra le potenze coloniali europee nell’800, in un clima da competizione internazionale a tutti i livelli e senza esclusione di colpi. Prima l’Europa accetterà tale realtà e meglio potrà attrezzarsi per competere in questo nuovo, antico, campo da gioco.