In South Carolina il conservatorismo di Mitt Romney va all’esame delle urne

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In South Carolina il conservatorismo di Mitt Romney va all’esame delle urne

14 Gennaio 2012

Il treno delle primarie Repubblicane ha preso la strada per il South Carolina, dove si vota il 21 gennaio, vigilia della 39° Marcia per la Vita di Washington e a tre giorni dal discorso sullo Stato dell’Unione del 24.
I sondaggi darebbero Newt Gingrich (soprattutto) e Rick Santorum in netta ripresa rispetto ai risultati ottenuti il 10 gennaio nel New Hampshire. Eppure Mitt Romney, che in quello Stato non sarebbe fortissimo, pare comunque guidare ancora ogni previsione. L’elettorato Repubblicano decisamente più conservatore del South Carolina potrebbe orientarsi verso altri candidati, è vero, anzitutto potrebbe così fare il popolo dei “Tea Party”, che continua a non riconoscere come genuino il conservatorismo di Romney.
Eppure, su questo fronte, non tutti la pensano uguale. The Weekly Standard, il settimanale neoconservatore diretto a Washington da William Kristol, definisce infatti apertamente Romney «più conservatore di quel che pensiate». Certo, potrebbe non essere ancora l’endorsement chiaro e netto di un ambiente culturale che nella Destra statunitense conta (o che sa intercettare bene gli ambienti che contano); ma che sia Fred Barnes, penna notissima e direttore esecutivo di The Weekly Standard, a firmare l’affondo (evidentemente diretto a quell’ala del movimento che sostiene il contrario) il suo peso specifico ce l’ha.
Barnes scrive che Romney «è se non altro tanto conservatore quanto lo sono i suoi rivali Repubblicani nel bocciare il progetto di riforma sanitaria di Barack Obama e più conservatore di altri sui diritti acquisiti, sulla sicurezza nazionale e sull’immigrazione. Sulle tasse non riesce certo a stare dietro a Gingrich, ma questo è quanto. Se si considerano tutti gli elementi nel loro insieme, infatti, Romney sta a destra di Gingrich».
Ora, il giudizio è nettissimo, ma ancora non è quello che vogliono sentir pronunciare i “Tea Party” e la Destra religiosa. Infatti, per questi mondi (spesso peraltro, almeno in parte, sovrapponentisi), la questione tasse non è affatto da poco; sulla sicurezza nazionale le differenze potrebbero essere non solo di sfumatura (un certo “isolazionismo” serpeggia infatti certamente fra i “Tea Party”, almeno in alcuni; e, del resto, se un libertarian amato dai “Tea Party” quale Ron Paul dice, subito dopo l’ottimo successo elettorale ottenuto in New Hamsphire, che la sicurezza nazionale è un principio fondamentale che nemmeno la sua critica feroce alle missioni militari statunitensi all’estero svelle, scindere poi al lato pratico le due ‒ dicono altri conservatori ‒ potrebbe essere davvero arduo, con il risultato di minare entrambe); e di questioni quali aborto, “matrimonio” omosessuale, eutanasia e così via nella patente di conservatore data da Barnes a Romney non vi è nemmeno l’ombra.
Romney allora è buono per i neocon, ma non per i “Tea Party”? No, nemmeno questo è completamente vero. La governatrice del South Carolina Nikki Haley, francamente poco neocon e invece molto “Tea Party”, eletta nel novembre 2010 proprio dalla forza di questi ultimi, appoggiata apertamente da Sarah Palin, conservatrice come piace a quel mondo, si è schierata nettamente al fianco di Romney.
Capire fino in fondo perché potrebbe non essere semplicissimo. Certamente però alcuni fattori si possono evocare. Anzitutto la Haley potrebbe essere davvero convinta che Romney sia il candidato Repubblicano giusto per la Casa Bianca, un futuro ottimo presidente federale e un autentico conservatore. In secondo luogo, il ritornello che descrive Romney come “il più eleggibile” potrebbe avere fatto breccia, per amore o per forza, anche nella sua mente. Infine c’è da tenere presente che se dovesse ottenere la nomination Repubblicana in agosto a Tampa, in Florida, poi Romney dovrà pur pensare a scegliersi un candidato alla vicepresidenza, oltre che un gabinetto di governo qualora entrasse alla Casa Bianca. Bene inteso, pensare a queste cose non è né cinico né arrivista. Un vero conservatore che fosse convinto che alla fine Romney la spunterà sui rivali Repubblicani, pur non essendo un conservatore perfetto, farebbe benissimo a pensare, potendolo fare, di dargli manforte, sull’ala destra, così da ottenere il doppio risultato di battere Obama e di portare a casa profitti politico-culturali importanti per la causa conservatrice. Del resto, chi l’ha detto che Romney non sia sul serio conservatore, anche in un senso più ampio di quanto ricorda comunque efficacemente The Weekly Standard?
La cosa più incresciosa, infatti, è vedere i candidati schierati dal Partito Repubblicano in questo 2012 azzannarsi. Una competizione maschia è nelle cose, certo. Ma ciò va evidentemente fatto dentro un orto concluso con precisione, per quanto ampio esso possa essere. Ci sono steccati che non vanno cioè superati, parole che non vanno mai dette, cose che vanno rifuggite come il fuoco. Se però questo ai Repubblicani oggi in lizza lo dicessimo noi, varrebbe nulla; ma se a dirlo è un’“autorità”, cambia.
Giovedì 13 gennaio, come da programma, Fox News ha trasmesso la consueta puntata di Your World with Newil Cavuto. Come dice il titolo, è un programma di notizie e commenti politici condotto da uno dei volti più noti di quel canale televisivo, il giornalista Neil P. Cavuto. Ebbene, in diretta, l’anchorman si è a un certo punto preso la briga di guardare diritti negli occhi i diversi candidati del GOP oggi in corsa e di ammonirli: se ne dicano quante ne vogliono, ma non senza esclusione di colpi. A quegli importanti uomini politici il giornalista ha ricordato che un limite c’è, e che questo è il fare quadrato attorno all’identità che fa essi diversi dagli altri, titolandoli moralmente a vincere.
Non sfuggirà a nessuno che ciò appare un controsenso. Una trasmissione come quella di Cavuto vive infatti di dibattito, va a nozze con le controversie, gode dei battibecchi, si gongola del gossip. Oltre a Cavuto e al suo show così del resto a maggior ragione è per l’intera Fox News. Che di parte lo è (eppure con grande professionalità nonché schiettamente, di modo che nessuno possa accusare alla cieca), ma stupida no. Del resto, l’impero mediatico di Rupert Murdoch, padrone anche di Fox News, sa bene come il gioco condotto su più tavoli, conservatore qui e progressista là, faccia miracoli per l’audience, lo share e gli introiti. Che siano impazziti a Fox News?
No. Cavuto ai Repubblicani in gara ha detto netto che, quando si tratta di princìpi, gli uomini di princìpi non litigano. Sul resto facciano come vogliono, ma su quel che non si può discutere cali il silenzio del più virtuoso tabù. Solo questo ne fa uomini migliori dai loro avversari politico-culturali..
I candidati Repubblicani oggi in corsa rappresentano del resto uno spettro che va dal conservatore al gran conservatore. Non c’è spazio per i liberal. Per la constituency conservatrice degli USA questa è una novità di grande valore. Ma il rovescio della medaglia è che la sfida a cui le primarie danno sempre comunque luogo divida irrimediabilmente chi invece dovrebbe marciare unito.
Se ciò dovesse divenire la prassi di queste primarie in cui il GOP schiera più destra politica e talvolta pure culturale che mai, sarebbe triste e controproducente. Rovinerebbe quello che potrebbe invece essere un grande investimento.
La lunga marcia inaugurata che dal senatore Barry M. Goldwater (1909-1998) in qua ha portato il Partito Repubblicano sempre più a destra fino a raggiungere la situazione di grande attesa in cui si trova ora potrebbe infatti implodere prima di avere compiuto il cerchio. Una volta divenuto un vero e completo partito conservatore (come non nacque né è stato fino alle interessanti premesse di oggi), il GOP deve cioè imparare a convivere con questa sua nuova identità, traendone il massimo e non strozzandosici. Vedere opporsi per questioni di principio del personale che, pure dentro la medesima formazione politica, coltiva valori diversi è sacrosanto e salutare. Vederlo fare, trasformando indebitamente ciò che è strumentale in principiale, del personale che condivide ciò che unisce e non può dividere è tragico.
Continuino pure a scontrarsi i Repubblicani in lizza, ma prima studino, come si fa per preparare bene un derby, Cavuto. Fox News è autorevole tra i Repubblicani e ascoltata dal loro elettorato. Cavuto ha regalato a tutti un momento di grande televisione, dove uno show (partigiano) trasmesso da un canale (schieratissimo) finanziato privatamente ha svolto un servizio pubblico con ben pochi pari.
Dopo varie interpretazioni, è quindi Neil P. Cavuto in onda giovedì 13 gennaio 2012 l’ermeneutica più vera di quella frase che ‒ sempre avanti una marcia rispetto a tutti gli altri ‒ a suo tempo pronunciò il profetico Ronald Reagan (1911-2004). Mai parlare male di un collega Repubblicano: che non è un invito a mentire, ma a dire altro. I colleghi Repubblicani a cui Reagan pensava erano infatti già in nuce quei portatori sani e inconsapevolmente virtuosi della grande trasformazione che ne sta facendo un partito davvero conservatore.
Non parlare male oggi di un collega Repubblicano significa non divedersi su ciò che è non negoziabile pur accalorandosi sui modi pratici per difenderlo. Oltre, il GOP che si candida a battere il relativismo di Obama non può andare.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.