In Spagna l’aborto sarà più facile, solo per accontentare i collettivi di sinistra

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In Spagna l’aborto sarà più facile, solo per accontentare i collettivi di sinistra

12 Marzo 2009

Dopo la svolta del riconoscimento dei matrimoni omosessuali, il governo di Zapatero si appresta a varare nuove politiche sociali che a giudicare dalla portata, con ogni probabilità, rischiano di lasciare una cicatrice indelebile nella società spagnola. Da Madrid giunge infatti la conferma che il governo pensa di sfornare entro l’estate una legge di riforma dell’aborto.  Come occasione per rivelare le linee guida del provvedimento è stato dell’8 marzo, il giorno in cui la Spagna festeggia “la donna lavoratrice”. Sì, perché per il ministro dell’Uguaglianza, Bibiana Aído Almagro, è giusto mettere sullo stesso piano l’eguaglianza della donna e la libertà di abortire, come “conquista della donna” e come affermazione “di un diritto fondamentale, il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, della necessità di ridurre il numero di gravidanze indesiderate”. Peccato che la Spagna sia già il primo paese europeo per crescita del numero di aborti negli ultimi anni, con un aumento pari al 99% nel decennio 1996-2006 e l’incremento del 10% solamente nell’ultimo anno.

La nuova legge sull’aborto è stata concepita da un Comitato di Esperti che, dopo sei mesi di studio, ha offerto la sua speciale ricetta per le interruzioni della gravidanza: aborto libero entro le prime 14 settimane estendibile a 22 in caso di rischi per la vita o la salute della madre o per gravi anomalie del feto. Nei casi di ritardo della diagnosi sulle malformazioni, invece, “gli specialisti” hanno raccomandato il governo di non stabilire nessun limite di tempo per poter interrompere la gestazione. Nel paese dove si sta studiando la possibilità di sostituire la parola aborto con quella di “distruzione del feto in divenire” per le interruzioni dalla 22esima settimana in poi (forse perché risulta troppo scomodo chiamarlo per nome), presto sarà possibile porre fine a una vita senza dover risponderne penalmente. “Non si tratta di una legge più permissiva – ha affermato il ministro dell’Uguaglianza – ma di una legge più sicura”. Ma sicura per chi?, verrebbe da domandarle visto che nel 97% dei casi, l’aborto viene praticato con la scusante del pericolo psichico della madre.

Ma non è tutto perché con la riforma promossa dal ministro Aído, l’aborto volontario sarà praticabile anche dalle adolescenti dai 16 anni in su e senza il necessario consenso dei genitori. “Se una minorenne di quell’età può sposarsi o mantenere relazioni sessuali, perché non dovrebbe poter abortire?”, ha spiegato. Già se le immaginano, in Spagna, tutte queste adolescenti che dicono a mamma e papà di andare a casa dell’amica del cuore per il fine settimana, e invece si rinchiudono nella stanza di un ospedale a porre rimedio a un “piccolo errore” d’inesperienza. Al ministro dell’Uguaglianza non importa che persino il Difensore del Minore Arturo Canalda abbia manifestato la sua totale opposizione alla nuova legge perché “si tratta di una decisione di grande trascendenza per la minore che non può, sotto nessuna circostanza, essere adottata senza la conoscenza e il consenso dei genitori”.

Saltano all’occhio le tantissime perplessità di una misura del genere. In primo luogo l’evidente insofferenza verso il ruolo sociale dei genitori e il compito educativo che – anche in una situazione sicuramente indesiderata – devono svolgere nel loro dovere parentale. La legge, da questo punto di vista, non solo sembra indifferente alla posizione di un genitore che non verrà mai a sapere della gravidanza della figlia, ma si pone anche come uno strumento che mina i rapporti familiari stessi, la fiducia, il rispetto e l’affetto che dovrebbero esistere in questo vincolo, cercando di soppiantare i genitori nella decisione di un minore.

Per non parlare del trauma personale. Non si tratta di fare moralismo né di diffondere un’ideologia di parte, si tratta di una crisi vera e propria, quella che travolge una donna non solo a livello psichico ma anche a livello fisico. Ha un nome e cognome: sindrome post-abortiva, il malessere che sorge nella maggior parte dei casi all’indomani di aver messo fine a una vita e che è stato riconosciuto e studiato dalle facoltà delle migliori università. I medici lanciano un chiaro allarme: “Se per una donna adulta, emancipata e indipendente la decisione è sufficientemente traumatica, una ragazza giovane potrebbe uscire troppo provata da un aborto senza il sostegno dei genitori”.

Fa rabbrividire che il ministro Aído, ex ballerina di flamenco, consideri l’aborto come un diritto che deve prevalere in ogni caso su quello alla vita. Come hanno fatto notare da più parti, liberalizzare l’aborto in un paese che ha già un altissimo dato di interruzioni significa incentivare questa soluzione come metodo contraccettivo invece di agire più incisivamente con le politiche precauzionali e sul concetto di responsabilità sessuale. Non è molto difficile capire che qualcosa non funziona in Spagna se proprio nelle Baleari (la regione dove le pillole del giorno dopo vengono distribuite gratuitamente come metodo anticoncezionale e il medico che dispensa a una minorenne il contraccettivo d’urgenza ha l’obbligo di avvisare i genitori solo se la ragazza è minore di 12 anni), si registra il tasso più elevato di interruzioni volontarie della gravidanza: 14 donne tra i 15 e i 44 anni su 10mila hanno usato questo metodo, quando la media nazionale è del 10,6 per mille.

Perché quindi in Spagna aumenta il numero degli aborti? Secondo i dati pubblicati nel dicembre scorso dall’Associazione di Cliniche Accreditate per l’Interruzione della Gravidanza  le ragioni dell’aumento degli aborti in Spagna sono addebitabili a fattori come l’anticipazione delle relazioni sessuali, la mancanza dell’educazione sessuale a scuola e la poca diffusione delle tecniche di prevenzione nella popolazione immigrata, sempre più in crescita. Un recente studio ha infatti dimostrato che la principale causa di interruzione delle gravidanze spagnole è addebitabile all’uso non corretto del contraccettivo.

“L’aborto non può essere la prima opzione, non si può considerare un metodo anticoncezionale”. E’ quanto ha dichiarato il ministro Aído all’indomani dell’annuncio della nuova legge in arrivo. Un’affermazione piuttosto paradossale visto che presto in Spagna sarà più facile abortire non solo perché non sarà più un reato, ma anche perché la nuova legge obbligherà gli ospedali pubblici a predisporre un’unità ad hoc per praticare gli aborti. Una misura che ha chiaramente l’intenzione di evitare che il diritto dei medici a l’obiezione di coscienza, interferisca nella decisione di una donna e la obblighi a rivolgersi a una clinica privata. Riassumendo, l’aborto non solo sarà libero ma anche gratuito.

La legislazione che sta preparando il governo sta imboccando la via che porta alla rottura di quell’equilibrio tra il diritto della madre e quello del nascituro. La nuova legge sfascia quel consenso politico bipartisan che portò all’attuale legge sull’aborto. Proprio per questa ragione, la manovra sembra mirata solo a soddisfare determinati collettivi pro abortisti della sinistra nei confronti dei quali Zapatero deve ora onorare la sua promessa elettorale. Ma non solo. Lancia una nuova provocazione a quella parte della società spagnola che non è d’accordo né con la misura né nel diventarne complici con i loro contributi. Sembra quindi che il governo di Madrid si stia impegnando sempre di più nel cercare di sviare l’attenzione dei cittadini dalla gravissima crisi economica.