In tempo di crisi anche al cinema si devono chiedere sacrifici
24 Novembre 2010
Da 402 a 262 milioni di euro, un taglio del 35%, e nessuna copertura finanziaria per le defiscalizzazioni al cinema nel prossimo triennio a fronte dei 180 milioni necessari: questa la nuda realtà del sostegno statale allo spettacolo per il 2011 allo stato dei fatti.
Il Ministro Bondi e il Sottosegretario Letta, alla vigilia di un’inaugurazione alquanto movimentata della Festa del Cinema di Roma, hanno ribadito il proprio impegno per il ripristino di queste risorse compatibilmente con le esigenze di contenimento della spesa pubblica, ma evidentemente non è facile convincere i colleghi di Governo sul punto. Soprattutto quando è ancora viva la memoria di quello che è successo negli ultimi quindici anni nel settore, in particolare nel comparto cinematografico così caro a Walter Veltroni.
Fino all’inizio degli anni Novanta la legge di sistema sul cinema, voluta dal Governo Moro nel 1965, aveva prodotto eccellenti risultati: ancora nel 1994 il fondo rotativo – cioè con obbligo di restituzione delle risorse assegnate alla singola produzione – presso la sezione credito cinematografico della Banca Nazionale del Lavoro, che gestiva le risorse statali all’uopo, presentava una consistenza di 700 miliardi di lire. La risposta alla crisi del cinema che imperversava in quegli anni, frutto di un compromesso voluto dall’allora Governo Ciampi con le associazioni di categoria, che da’ vita a una legge di stampo prettamente assistenzialista. Si finanziano a fondo perduto un numero impressionante di film, con una media di rientro rispetto all’importo finanziato del 15%. Nel 1997 il Ministro Veltroni con un decreto porta da 4 a 8 miliardi di lire il tetto massimo di finanziamento per ogni film, accelerando i tempi del disastro.
Si assiste ad un vero e proprio assalto alla diligenza, nascono e muoiono al primo film decine e decine di case di produzione costituite ad hoc. Il colpo mortale viene assestato con l’abolizione dell’imposta sugli spettacoli voluta da Veltroni, in vigore dal 1 gennaio 2000, che di fatto generava risorse tali da sostenere il FUS, e dalla deroga alla apertura sale nei centri commerciali prevista con decreto da Veltroni: le grandi multisale non solo programmano al 90% solo cinema USA ma provocano la chiusura delle piccole sale di quartiere nei centri urbani e di fatto tagliano fuori dalla fruizione del cinema una fascia importante di popolazione, ossia gli ultra sessantenni che difficilmente si recano con la macchina nei multiplex che sorgono lungo le grandi direttrici di traffico.
In dieci anni vengono sperperati più di mille miliardi di lire, ossia 500 milioni di euro. Nel solo quinquennio 1996-2001, regnanti Veltroni e Melandri, vengono finanziati per un totale di 266.953.241 euro ben 186 film che però al botteghino totalizzano un incasso di 43.565.044 euro. Con questi “brillanti” risultati, nel 2004 il fondo cinema risulta virtualmente esaurito: dei 700 miliardi di lire del 1994 rimangono poco più di 36 milioni di euro.
La legge Urbani, con il tanto vituperato ma efficace reference system, riesce a risanare la situazione e a rilanciare il cinema italiano, che infatti torna ad avere il 35% del mercato nazionale (mentre nell’era dello sperpero veltroniano galleggiava tra il 15 e il 20%). Oltre agli incassi i film cominciano ad avere riscontro a livello internazionale – è il caso di Gomorra, il Divo e La nostra vita a Cannes e della La bestia nel cuore entrato nella cinquina degli Oscar nel 2005. Tutto questo però non basta. La necessità di contrarre il debito pubblico diminuisce negli anni le risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo.
L’introduzione delle esenzioni fiscali per i privati che finanziano il cinema, voluta da Rutelli, attuata da Bondi e approvata dall’Unione Europea, è una soluzione liberale al problema, che toglie all’arbitrio delle commissioni ministeriali l’assegnazione dei fondi per affidare tale decisione al mercato. Ma ha anch’essa un costo: 60 milioni di euro l’anno di mancati incassi che l’erario deve accantonare. Al momento sembra un costo che il Ministero dell’Economia non intende pagare. È per questo che artisti e maestranze dello spettacolo sono arrivati a uno sciopero finora inedito in Italia, un’agitazione i cui motivi sono stati condivisi dallo stesso Ministro Bondi e ribaditi ieri con forza dal Presidente Napolitano. Forse è arrivato il momento di capire che ogni riforma comporta una spesa e che il cinema è un’industria come molte altre, alla quale tuttavia non è pensabile non chiedere sacrifici in una simile congiuntura.