In Tunisia i giovani gridano la loro voglia di libertà in Rete
14 Gennaio 2011
Free Tunisie, Libre Tunisie: con più di 10mila iscritti questo gruppo creato su Facebook è diventato uno dei simboli della rivolta delle giovani generazioni tunisine contro lo status quo. Sì, perché il cuore della protesta che sta mettendo a ferro e fuoco il Paese sono proprio i ragazzi, gli strumenti utilizzati per raccogliere consensi e organizzare la rivolta sono i social network e il luogo da dominare con slogan e manifesti è il cyberspazio. Così, alla più antica delle battaglie, quella della rivolta per il pane e della protesta dei disoccupati, consumata per le strade, si è affiancata la più moderna: quella in Rete.
Il conflitto che si protrae da giorni è l’esito di una combinazione di tre elementi che col passare del tempo hanno scoperchiato il vaso di Pandora: regimi politici incapaci di fornire risposte adeguate al sentimento di totale abbandono della società, un tasso di disoccupazione stabilmente intorno al 25% accompagnato dall’assenza di meccanismi di Welfare e, soprattutto, una popolazione composta per il 75% da under 30 che non hanno nulla da perdere a ‘spaccare tutto’ contro un governo che ristagna da anni.
Ma questo braccio di ferro è soprattutto il frutto di una politica di censura, nel senso più ampio del termine, che ha come principale obiettivo il web. Facebook, Twitter, blog e siti dissidenti sono nel mirino del governo tunisino di Ben Ali – un esempio su tutti, la chiusura del gruppo “Signor presidente, i tunisini si immolano con il fuoco”, che raccoglieva 12mila iscritti.
Ma la Rete difende la Rete: tentativi in questo senso sono stati testimoniati, per esempio, da “A Tunisian Girl”, una blogger che scrive dal paese magrebino. A dare sostegno ai dissidenti tunisini è stato, poi, un gruppo di hacker conosciuti come Anonymous, che ha messo in piedi “Operation: Tunisia”, un sistema che dovrebbe permettere ai navigatori di poter scrivere in modo anonimo in web. Il simbolo usato, e ripubblicato con il logo della bandiera tunisina in giro per la rete, è il manifesto del film V for Vendetta.
Senza contare che in risposta al giro (web) di vite fatto dal governo, i giovani tunisini, alla chiusura e all’oscuramento di un gruppo o profilo, ne aprono a raffica altri documentando con foto, video, e testimonianze la loro rivoluzione. “Giustizia e libertà per la Tunisia”, “Portiamo Ben Ali davanti alla Corte Penale Internazionale”, “Lottiamo contro la dittatura”: queste le frasi che campeggiano sulle pagine del celebre sito fondato da Zuckerberg. Per l’On. del Pdl Souad Sbai questo tipo di manifestazioni non vanno liquidate “in modo così miope”. I media e i governanti devono, al contrario, dare spazio a questi giovani di esprimerisi in modo che la democrazia, quella da loro tanto agognata, prenda davvero piede. “Non è concepibile – spiega – che un paese globalizzato possa chiudere un blog, perché ne vengono aperti altri 10mila. Non è possibile avere ancora questa visione arcaica del mondo”.
Se Fb rimane il canale di aggregazione per eccellenza, come era già successo con la rivolta verde in Iran, il principale stream di diffusione delle notizie continua a essere Twitter. Le due hashtag, che fanno foriera di decine e decine di cinguettii al minuto, sono #OpTunisia e #SidiBouzid. Ancora: #tunisie_liberte, #nawaat de tunisie, che raccolgono in tempo reale notizie, reazioni e opinioni di chi vive la rivolta sul campo. Altro emblema del tumulto giovanile è il video circolante su YouTube “Rais Le Bled”, la canzone del 22enne rapper El General: un’esplicita richiesta al governo di rispetto dei diritti scritti nella costituzione del Paese, da subito diventata l’inno dei manifestanti.
Chi vede nell’‘esplosione’ della volontà riformatrice di questi giovani – evento unico nella storia della Tunisia – lo spettro dell’estremismo sbaglia. Questi ragazzi ricordano molto di più i casseurs parigini della banlieue in fiamme di sei anni fa, o gli “anarchici” greci delle settimane scorse, che non i seguaci di questo o quell’imam radicale. Dello stesso avviso è l’On. Sbai: “Questa è una manifestazione culturale di giovani laureati, che finalmente ‘pensano’, che non hanno nulla a che fare con l’estremismo. Al contrario, ne sono ‘vaccinati’. La motivazione che li spinge a protestare è che sentono strozzati i loro intenti di modernizzare e democratizzare il proprio Paese che da anni non evolve e dal quale possono fuggire con meno facilità rispetto a prima, date le politiche restrittive in fatto di immigrazione vigenti in altri stati”.
Le menti dei giovani arabi, insomma, non sono più imprigionate, stanno spiccando il volo. Dopo il ‘Medioevo’ del fondamentalismo finalmente una finestra gli si è si è aperta sul mondo, anche grazie al web. E non c’è censura che tenga.