In Tunisia saranno le donne a fare la democrazia

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

In Tunisia saranno le donne a fare la democrazia

05 Aprile 2011

Tranquilli, Bernard Lewis, il vecchio, saggio professor Lewis, non è impazzito di colpo. Lo studioso che alla fine degli anni Cinquanta parlava già di clash of civilizations, che ha introdotto per primo nella politica americana l’espressione "fondamentalismo islamico", denunciando il pericolo di Al Qaeda e il fatto che la società di tanti Paesi musulmani si fosse fermata al palo del VII secolo dopo cristo, la settimana scorsa ha rilasciato una lunga intervista al Wall Street Journal chiedendosi "cosa potrebbe andare bene" nelle rivoluzioni che hanno rovesciato le tirannie del nordafrica e che stanno mettendo a ferro e fuoco il medio oriente e il golfo persico. 

Non si tratta di un facile ottimismo ma dell’occhio lungo dello storico abituato a scrutare tra le pieghe di accadimenti che ognuno di noi fatica ad interpretare. "Deliziato" da questi movimenti popolari, Lewis mette in guardia gli Stati Uniti dal voler imporre ai paesi musulmani elezioni come le nostre: "perché dovremmo aspettarci che adottino un sistema di governo occidentale e chi l’ha detto che funzionerebbe"? In fondo fu proprio l’aver gettato la Germania nella debole democrazia di Weimar a favorire l’ascesa del Nazismo, come pure la vittoria di Hamas a Gaza nel 2007 è figlia di una malintesa idea di votazione buona per ogni dove. Non illudiamoci che al mondo esista solo "l’ideale della democrazia occidentale" e che questo sia il migliore se non l’unico dei sistemi di governo possibili. Piuttosto dobbiamo incoraggiare chi si è ribellato a sviluppare nuove forme politiche che trovino una forza e una identità proprio nella tradizione della storia islamica.

Per chi ha familiarità con il pensiero del professor Lewis, e non crede che si tratti di semplice paternalismo, queste affermazioni non dovrebbero avere nulla di sorprendente. Nel libro "L’Europa e l’islam", Lewis ci ha raccontato come nel Medioevo i cavalieri Franchi venissero considerati alla stregua di barbari dall’avanzato e acculturato mondo musulmano, nel pieno della sua espansione. Avendo avuto, per primo, la fortuna di entrare negli archivi dell’ex impero ottomano, il professore ha sempre descritto con un misto di curiosità e rispetto l’azione di governo dei sultani, capaci di prendere delle decisioni politiche solo dopo essersi consultati con tutta una serie di esponenti e consiglieri e rappresentanti di quelli che potremmo chiamare i "corpi intermedi" della società.

"Consultazione" è la parola magica per capire a quale nobile passato i ribelli della Cirenaica dovrebbero guardare per trovare una valida ed originale declinazione della parola democrazia. Nella storia islamica, secondo Lewis, c’è stata una grande esperienza di governi dai poteri limitati e tenuti sotto controllo da un equilibrio virtuoso. Tutto sta a non confondere valori che a noi sembrano normali, come la libertà, con quelli che sono cari alla politica e alla società araba e musulmana, come la parola "giustizia" ( ‘adl ), intesa come "lo standard del buongoverno". Se mai è stata la modernità, la modernizzazione di stampo occidentale, a creare quei vasti apparati militari, di sorveglianza e repressione, che hanno permesso a Ben Alì, Mubarak e Gheddafi di comandare indisturbati per decenni. I poteri intermedi sono stati distrutti ed è rimasto solo quello dello stato autocratico.

Certo, quando l’intervistatore chiede a Lewis una previsione su cosa accadrà dopo le rivoluzioni del gelsomino, lo storico ci va con i piedi di piombo. In Egitto c’è il rischio dei Fratelli Musulmani, "su cui non dobbiamo farci illusioni perché sappiamo chi sono e cosa vogliono", a differenza di quegli ingenui reporter del New York Times che hanno scambiato un rottame del fondamentalismo come lo sceicco Qaradawi in un sincero fautore di una società pluralistica e multipartitica. La Turchia si sta rapidamente re-islamizzando, nella politica, nei costumi, nella società, nei media, inquinando anche il sistema giudiziario. In un decennio, Ankara rischia di fare la fine di Teheran. L’Iran di Ahmadinejad continua ad essere la minaccia più grave, un regime nucleare dominato da una visione apocalittica che potrebbe indurlo a scatenare l’inferno.

Il presidente Obama ha sbagliato a legittimare la mullocrazia all’inizio del suo mandato, evitando per troppo tempo di riconoscere nel movimento della Onda Verde il suo unico e legittimo interlocutore. Ma adesso gli Stati Uniti non devono fare l’errore di intervenire militarmente contro Teheran, suggerisce Lewis, perché il colpo di reni che stroncherà Ahmadinejad può venire solo dallo "spirito patriottico" di quanti, nelle piazze iraniane, hanno compreso quanti passi indietro ha fatto fare il khomeinismo al Paese.

C’è una nazione verso cui Lewis sembra nutrire vere speranze. La Tunisia. Il motivo è presto detto: solo in Tunisia, fra i popoli che si sono ribellati, c’è una reale coscienza della condizione femminile e della sua importanza per ottenere una vita migliore. "Pensate a una ragazza che cresce in una società musulmana in cui sua madre non ha diritti e dove le donne vengono soggiogate ed asservite. Questo è un modo per determinare un’esistenza fatta di dispotismo e sottomissione, ed è ciò che spiana la strada ad una società autoritaria". In Tunisia invece c’è spazio per l’educazione, per un’assunzione di diritti, per la presenza delle donne in ogni professione. Se a dirlo è uno come Lewis, che sicuramente è in contatto con i dissidenti arabi, ed ha una percezione molto più estesa della nostra su quello che sta accadendo nell’islam, dobbiamo prestargli ascolto.

Se il nuovo mondo arabo sarà in grado di garantire un adeguato trattamento e concrete opportunità alle donne, ai giovani, alle minoranze politiche e religiose, forse quelle rivoluzioni a cui abbiamo assistito potrebbero davvero essere ricordate come un cambiamento storico, una svolta democratica, anche se sarà una democrazia diversa dalla nostra e di cui a stento riconosciamo i connotati. Un discorso che non vale esclusivamente per l’islam ma anche, in forme e modi che invece conosciamo bene tutti, per il nostro mondo, per la civiltà occidentale.