In una lettera il “mobbing” di Fini contro il rautiano Granata

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In una lettera il “mobbing” di Fini contro il rautiano Granata

04 Agosto 2010

Gianfranco Fini, 8 novembre 2009: “Il Pdl così come è organizzato non mi soddisfa al cento per cento. E’ la caserma che non mi piace”. Fabio Granata, 16 ottobre 1991: “Caro Fini, ho ricevuto una lettera da parte tua attraverso la quale tu mi deferivi a questo comitato centrale con proposta di sospensione a tempo indeterminato…”.

In mezzo ci sono diciannove anni ma il “metodo” che l’ex leader di An in tutti questi mesi ha rinfacciato al Cav., in realtà è quello che da segretario del Msi prima e poi di Alleanza Nazionale ha applicato a più riprese nei confronti di chi non era in linea col suo pensiero. Nella lunga storia della Destra post-fascista tra Fabio Granata e Gianfranco Fini non è mai corso buon sangue, l’idillio tra i due è esploso solo di recent e, “roba di un anno fa…” dice un autorevole esponente aennino, finiano convinto prima dell’ennesima svolta di Fini, questa volta dal Pdl.

Fini delfino di Giorgio Almirante, Granata vicino a Pino Rauti: due storie diverse, due concezioni politiche distanti e alternative. Lo scontro definitivo avviene nel giugno 1991 quando preso atto del fallimento dell’esperienza di Rauti alla guida di un partito ormai segnato dai consensi in libera uscita (dopo il tonfo elettorale alle regionali siciliane), il comitato centrale “non riconvocò neppure il congresso ma mise ai voti la delibera di sfiducia nei confronti di Rauti e riattribuì a Fini la guida del Msi che aveva perso nel congresso di Rimini dell’anno prima”, ricorda l’aennino doc che a quella riunione c’era.

Non solo, ma per riposizionare l’Msi sulla giusta rotta “Fini ci disse e noi lo condividemmo che per recuperare i voti che Rauti aveva fatto perdere, occorreva tornare a praticare una politica fortemente di Destra. E da lì partì l’iniziativa della raccolta di firme per la reintroduzione della pena di morte. Su questo incontrò la ferma opposizione di Granata che all’epoca faceva parte della segreteria politica di Rauti. Così, quando il suo leader fu esautorato lui lasciò l’Msi e inaugurò una nuova esperienza politica vicino alla Rete di Leoluca Orlando”.

Ma c’è anche chi, tra gli ex aennini, sostiene che in realtà l’addio di Granata a Fini (a rileggerlo col senno di poi, un ‘arrivederci0’ più che un addio) fu in qualche modo agevolato dal leader missino: in altre parole, “fu messo nelle condizioni di andare”. La traccia sta nella lettera che Granata scrive a Fini e nella quale denuncia la volontà del capo di sbatterlo fuori. Cosa che poi non avvenne in quei termini, ma si tramutò nell’atto col quale l’esponente siciliano decise di archiviare il rapporto e la militanza nel Msi. Li riprenderà più tardi, nell’era di An.

Ecco la missiva indirizzata a Fini, dove il tono e lo stile danno bene l’idea del livello di indignazione manifestato da Granata sul livello di democrazia interna: “Il 16 ottobre ho ricevuto una lettera da parte tua molto garbata, non c’era neanche scritto ‘Caro Granata’, di questo mi sono dispiaciuto… Attraverso questa lettera tu mi deferivi a questo comitato  centrale centrale con proposta di sospensione a tempo indeterminato per un movimento che poi nella tua relazione hai detto testualmente che non solo si può, ma si deve fare”.

Granata non usa giri di parole: “Allora intendiamoci su un punto. Noi rivendichiamo il nostro diritto come percorso politico, comunità politica che ha agito, io personalmente da quando ho 14 anni, credo gli altri da un bel pò di tempo all’interno del Movimento Sociale Italiano. Su delle posizioni che, fino a prova contraria, sono quelle. Il programma politico, il progetto  le posizioni sono quelle che escono vincenti dall’ultimo congresso di questo partito… tu puoi assumerti il diritto o avere il potere politico di sbatterci fuori dal partito per questo motivo perché in questo caso Fini perché in questo caso, vedi,  succede un meccanismo molto strano.

E il meccanismo strano è quello che tu puoi avere anche questo tipo di consequenzialità.  Lo puoi fare, è nel tuo potere, fallo. Però il problema è che mentre noi fuoriusciamo per una tua volontà da questo alveo che tu hai disegnato e che non è quello che è stato l’Msi, storicamente dal 1946 ad oggi, – conclude Granata – tu resti su delle posizioni con questa ulteriore fuoriuscita di energia, di gente, di visioni politiche diverse dalle tue ma che insieme alle tue hanno costruito una sintesi nazionale. Tu resti appiattito sulla posizione di destra”.  

Tra i due si consumò così la rupture. Francamente fa un certo effetto rileggere la lettera di Granata alla luce della più recente rupture che il presidente della Camera ha sancito col partito di Berlusconi del quale lui stesso è stato co-fondatore.

E fa un certo effetto costatare che il Granata che diciannove anni fa accusò Fini di praticare il metodo dell’epurazione a chi osava dissentire, oggi di fatto è il suo portavoce, il suo alzabandiera quotidiano, il suo “bollettino” di come si fa la politica “buona”, di come il ‘verbo’ finiano non solo è politically corretc ma pure morally correct. Di contro, uno dei più agguerriti “Savonarola” sulla mancanza di democrazia interna al Pdl e i metodi da “one man show” del Cav. Evidentemente l’esperienza di diciannove anni fa non gli ha lasciato granchè.

Ma a testare il livello di democrazia interna che fu del partito di via della Scrofa nel lungo regno finiano, Granata non è stato il solo. Agli atti delle cronache giornalistiche c’è l’anno 1995ì, quando Fini mise alla porta di An da un giorno all’altro il consigliere Emilio D’Andrea reo di aver costituito un gruppo consiliare autonomo. Ancora: nel 2004 sospese dal partito Federico Ghera che in una riunione del partito romano aveva distribuito volantini contro l’allora governatore del Lazio Francesco Storace.

L’episodio senza dubbio più eclatante in quanto a spazio aperto alla minoranza, a chi porta avanti il dissenso interno che “è il sale nella minestra”, risale al luglio 2005. In ventiquattrore Fini azzera i vertici del partito: Ignazio La Russa, Altero Matteoli e Maurizio Gasparri vengono “declassati” senza neanche la possibilità di un contraddittorio; a loro il leader concede solo quella delle scuse. I tre colonnelli avevano osato parlare male del capo davanti a un caffè in un bar storico a due passi da Montecitorio e la loro conversazione era stata “intercettata” da un cronista de Il Tempo che riferì a Fini e ci fece lo ‘scoop’ giornalistico dell’anno.  

Oggi l’ex leader di An nonché presidente della Camera, denuncia di aver subito un’epurazione, di essere stato messo fuori dal Cav. senza neanche un chiarimento definitivo e dopo la sua offerta di tregua. Basterebbe chiedere a Granata…