In vista delle elezioni Putin mostra il suo volto autoritario

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In vista delle elezioni Putin mostra il suo volto autoritario

29 Novembre 2007

Si avvicinano le elezioni legislative del 2 dicembre, ed il
Cremlino ha sempre meno remore nel mostrare il volto autoritario del proprio
potere. Gli oppositori sono picchiati e arrestati, l’Osce ha dovuto ritirare i
suoi osservatori perché non c’erano le condizioni per la missione, e Putin
utilizza una propaganda sempre più nazionalista e anti-occidentale.

Sia sabato 24
a Mosca che domenica 25 a San Pietroburgo, le forze
di polizia hanno usato il pugno di ferro contro le poche migliaia di militanti dell’opposizione
che volevano manifestare pacificamente per le strade russe. Secondo quanto
riporta il Financial Times del 26 novembre, “la polizia ha arrestato due
potenziali candidati alle elezioni presidenziali di marzo e oltre 200
manifestanti dell’opposizione”. I due leader politici finiti in manette per
aver criticato in piazza il Cremliono sono Garry Kasparov, l’ex campione di
scacchi ora alla testa del movimento Altra Russia, e Boris Nemtov, ex
vice-premier e ora a capo della formazione liberale Unione delle forze di
destra. Kasparov è stato condannato per direttissima a cinque giorni di galera,
perché la giustizia russa quando vuole sa essere molto efficace. Sono stati
arrestati inoltre tutti gli organizzatori della marcia di protesta e i leader
locali di un altro partito liberale, Yabloko, tanto perché la giustizia russa non
fa discriminazioni nel colpire la frammentata opposizione russa. Infine, ancora
il FT riferisce che a San Pietroburgo “la polizia ha picchiato diversi
manifestanti con i manganelli, e portato in galera dozzine di anziane signore”,
perché la giustizia russa non si fa impietosire né dall’età né dal sesso nel
colpire i sovversivi. Anche se il partito presidenziale Russia Unita avrà
sicuramente la maggioranza assoluta dei seggi nel prossimo Parlamento, anche se
il presidente gode di un tasso di popolarità dell’80%, da bravo (ex) agente del
KGB Putin non lascia nulla al caso ed anche una marcia di poche migliaia di
oppositori riceve tutta l’attenzione possibile da parte della solerte giustizia
russa.

Gli eventi dei giorni scorsi rappresentano l’apice di una
campagna elettorale pesantemente condizionata dal Cremlino. Non solo perché ai
partiti di opposizione come Yabloko non è stato neanche permesso di appendere
manifesti nella più libera ed occidentale delle città russe, San Pietroburgo.
Non solo perché il governo ha quasi imposto un blocco dei prezzi dei beni di
consumo nel mese precedente il voto per accrescere il suo consenso, come
rilevato dall’Economist che il 27 ottobre ha commentato “il governo russo
sapeva perfettamente cosa stava facendo quando ha cercato di bloccare il prezzo
dei beni di consumo. Stava facendo campagna elettorale per il presidente
Putin”. Ma anche perché, per la prima volta dalla caduta dell’Urss, Mosca è ai
ferri corti con l’Osce in merito al monitoraggio delle operazioni elettorali.
Prima il Cremlino ha ridotto il numero dei visti a disposizione per gli
osservatori internazionali a 70 rispetto ai 400 rilasciati per le elezioni del
2003, poi ha ritardato il loro rilascio in modo da impedire agli osservatori di
giungere in tempo per un monitoraggio efficace delle condizioni nelle quali si
sarebbero svolte le elezioni. A questo punto per l’Osce non aveva senso mandare
pochi giorni prima del voto un pugno di osservatori che non avrebbero potuto
stilare un rapporto né completo né credibile. Di conseguenza l’organizzazione il
16 novembre ha rinunciato alla missione dichiarando che, come riporta l’International
Herald Tribune del 27 novembre, “le restrizioni imposte dal governo russo hanno
reso impossibile lo svolgimento del proprio lavoro”. Putin non si è però lasciata
scappare l’occasione di prendersela con gli Stati Uniti, ed ha accusato il
Dipartimento di stato americano di aver fatto pressione sull’Osce per
cancellare la missione e delegittimare così le elezioni russe. Il portavoce
dell’organizzazione ha risposto da Vienna che “la nostra decisione non è stata
presa su raccomandazione di nessuno stato”, ma la sua reazione è stata ignorata
dal Cremlino: le dichiarazioni di Putin erano infatti ad uso interno, volte ad
accontentare gli istinti più nazionalisti di una parte del suo elettorato.

In questo clima si rinnoverà la Duma, il parlamento russo.
Sempre l’IHT del 27 novembre nota che “il Cremlino ha usato il suo controllo
sulle leggi elettorali, sulle strutture statali e sui mezzi di comunicazione
per assicurarsi che l’opposizione abbia ben poche possibilità di ottenere seggi
nel prossimo parlamento”. Fino a qualche anno fa gli studiosi delle vicende
russe si chiedevano se e come la transizione democratica della Russia sarebbe
andata avanti. Oggi si chiedono fin dove arriverà Mosca nel realizzare il suo
modello di “capitalismo autoritario”. I governi europei dovrebbero chiedersi piuttosto
se possono dormire sonni tranquilli avendo come principale vicino un
autoritarismo che governa sul territorio statale più grande del mondo, su 143
milioni di abitanti, e sulle risorse energetiche da cui dipende fortemente
l’economia europea. L’Ue sembra oggi svegliarsi dall’ipnosi dell’appeasement in
cui l’aveva lasciata l’opera di politici come Schroeder e Chirac, ed ha
sostenuto assieme agli Stati Uniti l’azione dell’Osce mentre il presidente
della Commissione Barroso ha espresso in merito alla repressione delle proteste
ha espresso “forte rammarico per il fatto che le autorità abbiano giudicato
necessario ricorrere ad azioni così brutali”. Se anche un giornale della gauche francese come Le Monde nel suo
editoriale del 27 novembre accusa il Putin di “aver soppresso l’elezione
popolare dei governatori regionali e dei sindaci delle grandi città, di aver
varato una legge che assicura al suo partito la maggioranza alla Duma e ne
esclude i piccoli partiti liberali, (…) di riutilizzare i vecchi metodi
sovietici: propaganda, repressione di ogni opposizione (…), utilizzo della
giustizia al servizio del potere politico”, allora forse il grido di allarme
sul ritorno dell’orso russo non è solo la solita fobia dei soliti
filo-americani.