India. Attentato Pune: spunta rivendicazione ex capo al-Qaeda
18 Giugno 2010
di redazione
In un messaggio audio postumo, pubblicato di recente sul web, il responsabile di al-Qaeda in Afghanistan, l’egiziano Mustafa Abu al-Yazid, ha rivendicato l’attentato compiuto lo scorso 13 febbraio a Pune, in India, che ha causato la morte di dieci persone, tra le quali la giovane toscana Nadia Macerini, e il ferimento di altre 60. Il terrorista egiziano, la cui morte è stata annunciata da al-Qaeda nei giorni scorsi, nella registrazione della durata di 26 minuti parla della ripresa dell’offensiva talebana "in vista dell’imminente arrivo della primavera".
Si ritiene quindi che la registrazione sia stata effettuata lo scorso marzo, prima della sua uccisione che sarebbe avvenuta due mesi fa in uno dei raid dei droni americani sulle aree tribali pakistane. Riferendosi all’attentato di Pune, afferma Abu al-Yazid: "Vi informo che l’attentato sferrato in India a febbraio, nel luogo frequentato dagli ebrei a ovest della capitale indiana Nuova Delhi, nella zona dove si trova il ‘German Bakery’, nonostante il nemico cerchi di nasconderlo, ha provocato la morte di 20 ebrei, in buona parte provenienti da Paesi che sostengono Israele".
In base alla versione fornita dal defunto numero 3 di al-Qaeda, a eseguire l’attentato è stato "un eroe, un soldato che era solo e che faceva parte delle brigate dei kamikaze di al-Qaeda presenti in Kashmir, diretta da Iliyas Kashmiri". L’attentato di Pune era stato rivendicato il giorno dopo da un movimento clandestino, il Laskhar-e-Taiba (LeT) Al Alami, che lo ha motivato con il rifiuto dell’India di discutere il futuro del Kashmir con il Pakistan. La rivendicazione era stata fatta con una telefonata a Nirupama Subramanian, corrispondente a Islamabad del quotidiano indiano The Hindu. L’interlocutore aveva precisato di chiamarsi Abu Jindal e di essere il portavoce del LeT Al Alami. Dopo aver ribadito le motivazioni dell’attentato, l’uomo aveva anche precisato che il suo gruppo è nato da una scissione del Laskhar-e-Taiba pakistano che, aveva detto, "prende ordini dai servizi segreti di Islamabad".