Industria e turismo sono una cosa sola

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Industria e turismo sono una cosa sola

16 Aprile 2013

Negli anni Sessanta i Motel Agip furono un simbolo del “boom” economico, il felice incontro di due parole chiave come industria e turismo. Gli italiani si fermavano a fare benzina pregustando il momento in cui avrebbero raggiunto la meta delle agognate vacanze. Era un Paese in movimento, che scommetteva sull’energia, investiva nelle grandi infrastrutture e non aveva rinunciato a crescere.

Oggi quelle parole sono armate una contro l’altra, chi prova ad accostarle viene indicato come un pericoloso criminale pronto a distruggere l’ambiente e a minacciare la salute umana. Non c’è dubbio che il mondo è cambiato rispetto a cinquant’anni fa – la classe politica deve favorire uno sviluppo sostenibile, standard più alti per la tutela della sicurezza e la protezione dell’ambiente – ma è anche vero che la sensibilità ambientale non può esaurirsi in un rifiuto totale di pezzi importanti del nostro sistema industriale. Se fosse così la consapevolezza reale dei rischi e dei benefici ne uscirebbe distorta come avviene quando si chiede una “moratoria delle trivelle” sui territori e al largo delle coste italiane.

Il Governo Monti ha fissato a 12 miglia marine il limite per la costruzione degli impianti petroliferi nei mari italiani. 12 miglia rappresentano una minaccia per il nostro patrimonio naturale? L’offshore che fiorisce in Croazia o in Albania in certi casi non è così distante dalle nostre coste. Una contraddizione già sperimentata in passato: nonostante l’Italia faccia meglio di altri, dotandosi di regole più stringenti, si vuole rinunciare aprioristicamente alle occasioni di sviluppo.

Ci sono luoghi dove turismo e industria estrattiva convivono perché si è deciso di fare chiarezza sui modelli di sviluppo. L’Emilia Romagna ha saputo estrarre il greggio dall’Adriatico senza rinunciare ai turisti proveniente dalla Germania e dalla Russia. Ravenna ha ospitato la Offshore Mediterranean Conference e l’impulso dato dal settore alla città – dagli anni Sessanta a oggi – è straordinario, ha permesso di rivitalizzare il vecchio porto traformandolo in uno dei primi per traffico delle merci. Ravenna è diventata centro propulsivo dell’economia e della cultura romagnola.

In Australia lo stato di Perth continua a crescere economicamente con nuove imprese che aprono ogni giorno e un aumento costante del reddito pro capite, uno sviluppo determinata dall’industria estrattiva che nei decenni scorsi ha attratto uomini e capitali da tutto il mondo. In Italia invece navighiamo a vista, non sappiamo quale sarà la politica energetica del nuovo governo, non è chiaro qual è il rapporto tra Stato e Regioni nella gestione delle attività petrolifere. Si tende quasi spontaneamente verso una politica punitiva anziché generare occupazione o preservarla.

E’ giusto che l’Italia punti a una diversificazione degli approvvigionamenti energetici ed è un bene che abbia scommesso sulle energie rinnovabili secondo gli obiettivi prefissati dall’Unione Europea, eppure al risparmio sull’ultima bolletta non ha contribuito solo la contrazione della domanda di gas e petrolio generata dalla crisi internazionale, ma anche l’incremento della nostra produzione nazionale, che nonostante sia estremamente ridotta permette di risparmiare centinaia di milioni di euro all’anno. Dipendiamo dall’estero ma la produzione interna non può essere spazzata via con proclami e minacce.

Se guardiamo al quadro macroeconomico, nell’ultimo anno l’industria estrattiva ha lasciato molti punti in Borsa, prima di riprendersi nelle ultime settimane con i titoli minerari che hanno trainato le piazze d’affari al rialzo. Il comparto non è immune ai rivolgimenti della crisi internazionale ed è per questo motivo che ci sarebbe bisogno di politiche governative di sostegno per scacciare lo spettro di un ridimensionamento del personale impiegato. D’altra parte se gli industriali non rinunciassero ad investire nel nostro Paese, lo Stato potrebbe negoziare con più forza un aumento delle royalty, guadagnando i miliardi di euro persi per colpa di un lungo immobilismo.

Il Decreto Legge 1/2012 del governo Monti prevedeva di trasformare in occasioni di sviluppo del territorio una parte del gettito erariale proveniente dalla industria estrattiva. L’articolo 16 del Dl sullo “Sviluppo di risorse energetiche e minerarie nazionali strategiche” permette di destinare una quota delle maggiori entrate fiscali per lo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali che facciano crescere i territori di insediamento degli impianti produttivi. Negarsi questa opportunità vuol dire rinunciare non solo a una entrata sicura per lo Stato ma soprattutto tenere alto lo steccato ideologico tra industria e turismo.
 
*Deputato del Gruppo Pdl alla Camera