Insieme ai ghiacciai dell’Himalaya si scioglie anche la credibilità dell’Onu
22 Gennaio 2010
Ultimamente fa più caldo del solito. Ma non così tanto. Potrebbe essere il commento scambiato tra due sconosciuti in ascensore e invece è quello che emerge dalle ultime ammissioni dell’Ipcc, l’Inter-governmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, che ha candidamente ammesso di aver sbagliato le previsioni sullo scioglimento dei ghiacciai himalaiani, con buona pace di tutte le popolazioni che sarebbero state coinvolte dalla presunta catastrofe climatica.
“I ghiacciai dell’Himalaya si sciolgono più rapidamente che nel resto del mondo e potrebbero scomparire del tutto entro il 2035 o addirittura prima” annunciava il rapporto Ipcc del 2007 (l’anno in cui Al Gore vinse il premio Nobel per la Pace proprio a braccetto con l’Ipcc). Peccato si trattasse di una previsione quantomeno pessimistica e per fortuna sbagliata.
Per chiarire le cose ripercorriamo brevemente le tappe di questa storia. Nel 2007 l’Ipcc scrive il suo ormai famigerato report e, per quanto riguarda l’Himalaya, si affida a quanto dichiarato da uno studioso esterno all’organizzazione. La fonte è Syed Hasnain, uno scienziato indiano, che in un’intervista rilasciata nel 1999 al New Scientist aveva lanciato l’allarme. Lo stesso indiano però poi ha ammesso che la sua era una "speculazione" non supportata da "alcuna ricerca formale".
Nell’intervista in questione Hasnian si riferiva a un report, scientificamente non confermato, che non parlava di tutti i ghiacciai himalaiani né (soprattutto) menzionava il 2035 come anno limite. Il saggio nel 2005 viene ripreso dal Wwf, che lo cita in un documento sullo stato dei ghiacciai in Nepal, India e Cina e in breve tempo diventa una fonte attendibile, utilizzata anche dall’Ipcc nel momento in cui ha dovuto scrivere il capitolo sull’Himalaya.
“Ci siamo sbagliati su una cifra, è vero – ha ammesso ieri il responsabile dell’Ipcc, Rajendra Pachauri – ma questo non toglie nulla alle prove scientifiche sul riscaldamento del pianeta”.
Sia chiaro, la caduta di stile conta ma non incide sulla effettiva pericolosità del riscaldamento globale. La tendenza per molti è innegabile, anche se episodi del genere non fanno altro che aumentare dubbi e contraddizioni. Questo è infatti il secondo episodio che vede coinvolto l’Ipcc negli ultimi mesi. Nel novembre 2009 furono diffuse delle email – forse ad opera di hacker russi – redatte da alcuni ricercatori dell’università inglese di East Anglia in cui si ammetteva che alcuni dati scientifici erano stati gonfiati per dare maggior rilievo alla minaccia del “global warming”.
In pratica, a ridosso della conferenza sul Clima di Copenaghen, furono trafugate dai server dell’Università di East Anglia circa 1.000 email e 3.000 file appartenenti alla Climatic Research Unit, un centro di ricerca internazionale sui cambiamenti climatici che collabora con l’IPCC. Tutto il materiale finì in rete e, secondo i climate change skeptics, sarebbe stata questa la conferma definitiva sulle menzogne relative al riscaldamento globale. Le informazioni sull’innalzamento delle temperature sarebbero state contraffatte dagli scienziati per promuovere le proprie teorie.
I climatologi dell’East Anglia avrebbero alzato un piccolo “muro di omertà” contro gli scettici, discutendo su come eliminare alcuni dati. Dallo scambio di email saltò fuori che gli studiosi avevano tenuto ben nascoste le incertezze che minavano i loro modelli teorici, rendendo pubbliche solo le conclusioni come se fossero assolutamente certe. Il trend è preoccupante, perché a breve potrebbero arrivare altre smentite sull’andamento futuro del riscaldamento climatico.
In uno studio che verrà pubblicato dal Journal of Climate, rivista dell’American Meteorological Society, viene anticipato un dato relativo alla differenza che riguarda la crescita delle temperature fino a oggi. In base ai modelli considerati attualmente attendibili, dall’inizio dell’era industriale a oggi l’immissione nell’atmosfera di anidride carbonica avrebbe dovuto provocare un aumento della temperatura più alto di quello effettivamente registrato. Rispetto alla quantità di CO2 emessa, la temperatura sarebbe dovuta aumentare di 3,8 gradi Fahrenheit (2,11 gradi Celsius), mentre è aumentata di soli 1,4 gradi Fahrenheit (0,78 °C).
Nessuno vuole contestare pregiudizialmente l’autorevolezza dell’Onu o degli scienziati che da decenni studiano il nostro pianeta per analizzarne anche la più piccola variazione, ma qualche dubbio sulle loro conclusioni sta venendo a tutti. Umanamente si può capire chi commette un errore, ma in termini scientifici questa comprensione è quasi inaccettabile. L’unica consolazione è che, se le temperature non saliranno, avremo più tempo per pensare al futuro senza finire arrosto. A meno che il mondo non finisca nel 2012…