Intercettazioni e manovra, due fronti che il Cav. deve chiudere senza passi falsi

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Intercettazioni e manovra, due fronti che il Cav. deve chiudere senza passi falsi

24 Maggio 2010

Intercettazioni e manovra economica sono i due fronti aperti che il Cav. dovrà chiudere in tempi rapidi e al minor costo possibile di polemiche, fuori e dentro la maggioranza. Due fronti "caldi" sui quali il timing impone tappe serrate; nel primo caso per portare a compimento un tassello della riforma della giustizia, nel secondo per tracciare la rotta da qui ai prossimi tre anni in linea con le regole di Bruxelles, e navigare nel mare agitato della crisi internazionale. Due fronti sui quali Berlusconi deve metterci la faccia.

Ddl intercettazioni. Al Senato la Commissione giustizia è pronta a licenziare per l’Aula il testo del disegno di legge. Riunita in seduta notturna ieri ha compiuto il "penultimo" passo nel segno dell’apertura al dialogo, la stessa disponibilità assicurata dalla maggioranza col presidente dei senatori Pdl che dopo un breve incontro con il vicecapogruppo Gaetano Quagliariello (suo il copyright sul "patto del crodino") e l’omologo della Camera, Fabrizio Cicchitto ha dichiarato che ”il testo deve rimanere aperto in Aula”, visto anche che sui punti controversi la Commissione si è già espressa (la cosiddetta norma ‘D’Addario’ e quelle sul diritto di cronaca).

In sostanza, l’Aula dovrà pronunciarsi su un altro tema tra i più contestati del provvedimento: l’inasprimento delle pene per giornalisti ed editori. Capitolo sul quale l’opposizione (Udc compreso) minaccia ostruzionismo a oltranza, anche se dal Guardasigilli Alfano arriva un nuovo segnale di disponibilità alle modifiche.

Dunque, la maggioranza apre alla mediazione, ma con un obiettivo chiaro da centrare nell’arco di pochi giorni: chiudere la partita al Senato. In altre parole, raggiungere con le parti in causa (opposizione, ma anche toghe e giornalisti che tuttavia appaiono ancora diffidenti e ancora ieri i direttori dei principali quotidiani hanno chiesto lo stop della norma) il punto maggiore di equilibrio che tenga conto delle esigenze di indagine e di quelle della cronaca, in modo tale da licenziare un testo il più possibile condiviso e che per questo non rischi di restare intrappolato nelle maglie di nuovi e ulteriori ritocchi nel suo passaggio alla Camera.

Anche perché a Montecitorio l’analisi del testo appare più esposta alle "variabili costanti" soprattutto dentro la maggioranza. Il riferimento è ai finiani che proprio ieri con Bocchino hanno fatto sapere che il testo migliore è quello uscito dalla Camera e che dunque è necessario ripartire da lì. Un messaggio neanche troppo indiretto sulle mosse tattiche e le triangolazioni trasversali (finiani, casiniani, piddini) che potrebbero innestarsi per tentare di rimettere mano al ddl uscito da Palazzo Madama. Con un duplice effetto da scongiurare, sul piano dei contenuti e su quello temporale, perché se alla Camera dovessero essere apportate variazioni di peso rispetto all’impianto originario, il ddl dovrebbe ripassare dal Senato, con tempi che inevitabilmente ne allungherebbero il varo definitivo.

Non solo: sul piano politico c’è anche chi nel Pdl osserva come la chiusura del testo al Senato in questa fase, di fatto consenta di evitare che proprio la corrente finiana possa intestarsi il "merito" di aver corretto in modo sostanziale un provvedimento da mesi al centro di polemiche incandescenti. Insomma, una ribalta (politica e mediatica) che è meglio non concedere sic et simpliciter.  Ecco perché il provvedimento resterà "aperto" quando approderà nell’Aula di Palazzo Madama ed ecco perché la mediazione che si tenta di capitalizzare è rivolta anche all’interno del Pdl e passa dal lavoro dei "pontieri" incaricati di trattare con l’ala che fa capo al presidente della Camera.

Manovra economica. Sono quattro le direttrici su cui verterà il provvedimento triennale (2011-2014) che oggi dovrebbe andare in Consiglio dei ministri, dopo l’incontro con le parti sociali. Quattro linee-guida contenute nel documento illustrato ieri dal ministro Tremonti al partito durante la riunione della Consulta economica nel quartier generale di via dell’Umiltà.

Il concetto-base è assicurare la stabilizzazione finanziaria attraverso una serie di interventi articolati su alcune direttrici: riduzione "del perimetro e dei costi della pubblica amministrazione; riduzione del costo degli apparati politici e amministrativi; contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, invalidità e previdenza, contrasto all’evasione fiscale e contributiva nonché attraverso entrate non fiscali; altra macroarea di intervento, essenziale per garantire un’equilibrata operazione di contenimento delle spese, è diretta a misure di sviluppo ed in materia infrastrutturale".

Tremonti incassa un sostanziale via libera pure se con qualche ritocco "migliorativo" su alcuni capitoli, chiesto dal Pdl (Baldassarri e Brunetta, tra gli altri, hanno sollecitato al ministro ulteriori chiarimenti). Aspetto che evidenzia un lavoro di mediazione tra i vertici del partito e il dicastero di via XX Settembre (dopo i malumori dei giorni scorsi sui tagli) per non trasformare il concetto di rigore solo in quello di "lacrime e sangue". I temi sui quali la discussione è aperta e oggi nel Cdm il governo dovrà trovare la sintesi, riguardano la riduzione degli stipendi dei manager pubblici, il taglio dei rimborsi ai partiti, le risorse per Roma capitale e le nuove regole per rafforzare la tracciabilità dei pagamenti.

Certo, che la manovra da 24 miliardi nel prossimo biennio imporrà "sacrifici pesanti" non è un mistero e ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta non lo ha nascosto seppure auspicando che si tratti di misure temporanee per far fronte agli effetti della crisi internazionale ed evitare così che l’Italia faccia la fine della Grecia.

D’altro canto, che questa sia una sorta di percorso obbligato lo rileva anche il Capo dello Stato che osserva come in tutta Europa "occorre ridurre il debito pubblico" e per farlo sono necessari sacrifici che però vanno distribuiti in modo equo tra i cittadini.

A spiegare le ragioni della manovra agli italiani sarà lo stesso premier – fanno sapere dal suo entourage – che oggi parteciperà all’incontro con le parti sociali, poi presiederà il Cdm. Un compito al quale il Cav. non intende sottrarsi insistendo su due punti-chiave: il provvedimento non è solo necessario perché imposto dall’Unione europea e dai mercati, ma anche equo perché non toccherà le tasche dei cittadini. Bersani non si fida e parla di "pasticcio" rispendendo così al mittente gli appelli al senso di responsabilità che anche il Colle non ha lesinato.